“Miseria e Nobiltà” al Sannazaro, la versione moderna di Michele Sinisi

E’ emozionante notare come, dopo 130 anni, su “Miseria e nobiltà” il sipario si chiuda sempre in un tripudio di applausi. La rivisitazione, ad opera di Michele Sinisi, è andata in scena al Teatro Sannazaro (dal 30 novembre al 2 dicembre), reduce già del successo ottenuto nel 2016 con la vittoria del premi della critica ANCT e Hystrio Twister. La scelta di riportare in scena la storia di “Miseria e Nobiltà” resta una sfida coraggiosa, poiché rimaneggia con sguardo nuovo un mostro sacro della tradizione commediografa napoletana. La commedia in tre atti fu scritta da Eduardo Scarpetta nel 1888. L’opera è entrata nel cuore dei contemporanei nel 1954, grazie alla versione cinematografica ad opera di Mario Mattoli con Totò, Sophia Loren e Carlo Croccolo.

La trama è quindi quella che conosciamo tutti: lo scrivano Felice Sciosciammocca, celebre maschera di Scarpetta, è coinvolto nelle vicende amorose tra il giovane nobile Eugenio e la bella e ostinata ballerina Gemma, figlia di un cuoco arricchito. Don Felice vive con il suo amico Pasquale e le rispettive famiglie. Verranno ingaggiati dal marchese Eugenio affinché si fingano suoi familiari e acconsentano al matrimonio con la ragazza, che in realtà non sarebbe mai stata accettata essendo di umili origini.

Sin dalla scenografia del primo atto, il regista ha smorzato la plausibile e comprensibile aspettativa degli spettatori più legati al grande classico, presentando sia una scena completamente vuota eccetto che per pochi oggetti (un tubo arancione, una scala, un tavolo e un armadio), sia rinunciando alla predominanza del napoletano con l’utilizzo anche di altri dialetti italiani. E’ per questo che il proprietario di casa, Don Gioacchino, ha la parlata milanese, Luisella, compagna di Don Felice, marcatamente veneta ed infine Donna Concetta si esprime in un pugliese dalla trivialità comica. L’elemento distintivo legato alla scenografia è protagonista in uno spettacolo classico ma atipico, una pièce in cui è proprio la scena a narrare e accompagnare le vicende degli attori. Nel primo atto si mostra scarna in un nero predominante, proprio per enfatizzare la miseria che pervade, per poi mutare, a conclusione dell’atto, attraverso un telo bianco che cala e si srotola sul palco nel momento in cui Don Felice e Pasquale accettano la proposta del marchese. La nota candida ed il lampadario di cristallo introducono lo spettatore alla nobiltà, ma la storia procede e le rivelazioni svelano la finzione, cosicché la stessa scenografia finisce con l’accartocciarsi e stracciarsi. Frantumandosi.

Davvero degni di lode gli undici attori sul palco: Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’Addario, Bruno Ricci, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster e lo stesso Michele Sinisi che è intervenuto sia interpretando alcuni ruoli, sia per dirigere le varie trasformazioni dello scenario. Molto originali sono l’interpretazione della scena degli spaghetti, che invece di essere serviti sul tavolo vengono lanciati dall’alto in formato gigante, e la messa in scena del dialogo tra il giovane marchese e suo padre, interpretati dallo stesso attore posto all’interno del guardaroba con le ruote che, fatto girare su se stesso, permette il dialogo tra i personaggi. Ovviamente non è mancato, e forse non poteva essere altrimenti, l’omaggio al grande Totò. Infatti, nella scena presente nel film in cui Totò scrive la lettera, si è voluto ricordare tutte le altre parti cinematografiche relative alle sue famose lettere. La voce registrata ha chiuso lo spettacolo proprio come nel film, gli attori sono rimasti immobili come fossero in un quadro e nella commozione del pubblico è risuonata la frase: «Torno nella miseria, però non mi lamento. Mi basta di sapere che il pubblico è contento». Questo spettacolo ha immerso gli spettatori in una dimensione molto originale, composta di ricordi e continua sorpresa dell’innovazione stilistica, riscuotendo un acclamato successo. Ripercorrendo il foyer del bellissimo teatro verso l’uscita, è stata fortissima la sensazione che da capolavori di questo calibro, nonostante la voglia di moderno, non ci si può mai veramente allontanare del tutto.