Nancy Brilli: Lady nera in “L’ebreo” al Teatro Diana

RECENSIONE – La chiusura sipario della prima di “L’Ebreo” in scena al Teatro Diana, registra plausi accorati. Circa due ore di spettacolo a ritmo serrato ma dinamico, con una parlata in romanesco stretto e desueto che fa sorridere. La protagonista Nancy Brilli sfavilla nel ruolo di Immacolata, per niente facile, in perfetta sinergia con gli altri due protagonisti in scena. Con lei l’attore Fabio Bussotti, nel ruolo di suo marito Marcello Consalvi, e l’attore Claudio Mazzenga, che interpreta l’amico Tito. La regia di questa black-comedy è ben orchestrata, a firma di Pierluigi Iorio. L’avvincente testo, dal quale è tratto l’adattamento, è di Gianni Clemente, materia prima di grande rilievo.

Il sipario si apre sulle note di “Bahire Ful” di Rabindranath Tagore e Lalita Sinha. La scena, firmata da Alessandro Chiti, spalancandosi spezza il fiato per imponenza. Ci si ritrova in un salotto di un appartamento importante, mobili prestigiosi e tanto spazio in cui muoversi. Soffitti alti, arcate, tante finestre ed un divano ricamato in oro. Nella parte alta invece ritroviamo dei drappeggi proiettati che, a seconda del momento narrativo, cambiano il colore e l’anima alla scena. È la bellissima casa di Marcello Consalvi e sua moglie Immacolata. Nancy Brilli entra in scena con parrucca rossa ed un elegante vestaglia color champagne, ma si fanno notare anche tutti gli altri costumi, curatissimi e a firma di Josè Lombardi. Subito assistiamo alle dinamiche di gestione dei loro cinque appartamenti e quattro negozi. Lei ha un carattere intransigente ed è spietata in alcune decisioni, si dice essere pronta a sfrattare alcuni inquilini, per ritardo nella pigione, mentre è intenta a contare “li quattrini”. Nei loro racconti si evince l’invidia di tutto il vicinato. Per la loro fortuna che, però, non è stata guadagnata.

La loro storia tratteggia la storia di tanti in Italia, ma si puo’ dire in tutta Europa. Siamo nella Roma degli anni ’50, successivamente all’emanazione delle leggi razziali (1938) ed il rastrellamento del Ghetto di Roma (1943). Molti ebrei intestarono a dei fidati prestanome i propri beni, per evitarne la confisca, sperando di rientrarne in possesso in seguito. Alcuni scapparono, altri vennero deportati, ma chi è tornato non è riuscito a riaverli. Marcello ed Immacolata erano i suoi dipendenti, del proprietario di casa, l’ebreo protagonista che però non vedremo mai in scena. Lavoravano nel suo negozio di stoffe e con un contratto divennero i proprietari di tutti i suoi beni. La guerra finisce, trascorrono tredici anni, e mentre Marcello Consalvi si sente solo il custode di tutto, lei se ne sente la padrona, la Signora Consalvi. Lei disdegna ed allontana i loro amici di infanzia: lo stagnaro Tito e l’arrotino Umberto. E rimprovera il marito quando, dal negozio al bar, resta vestito con lo “zinale” (il grembiule). Lei ostenta: negli abiti, negli atteggiamenti e nelle frecciatine pungenti. Meglio essere invidiata da tutti, che compatita. Lei la fame vera e le ristrettezze le aveva vissute.

Adesso hanno a casa, come pochissimi in quel momento, la televisione. In cui è possibile vedere “Rischiatutto” con Mike Buongiorno, comodamente sul divano di casa. Il matrimonio di loro figlia Elena è stato memorabile per tutto il quartiere, dai vestiti indossati alla carrozza bianca da principessa. Per elencare solo alcuni degli ultimi momenti di invidia. Ma, arriva un ma, un giorno qualcuno bussa alla porta e dallo spioncino, entrambi i coniugi riconoscono un anziano signore. Sarà proprio il Padrone che è tornato? Sono trascorsi tredici anni. La loro reazione sarà quella di chiudersi in casa, con dei pigiami a righe, per evitare alcun contatto.

Immacolata è una donna incattivita, spietata nelle sue considerazioni («Tanti che ne hanno infornati, proprio lui doveva tornà?»). È una donna che non ci pensa proprio a ritornare alla vita da serva. È infelice, avida ed egoista, e da cinque anni non è in sintonia con il marito. Ma il ritorno dell’Ebreo le accende una bramosia ardente, insinuandole l’animo della Lady Macbeth di Shakespeare. Colei che spinge l’uomo a macchiarsi le mani e la coscienza pur di raggiungere il suo obiettivo. Si sentirà anche un pezzo di monologo, a scena buia, recitato sempre dalla Brilli: «Venite, spiriti addetti ai pensieri di morte, strappatemi questo mio sesso, riempitemi dal cranio ai piedi, della ferocia più cruda». Immacolata innescherà losche trame, coinvolgendo il marito Marcello e l’amico amante Tito, per contrastare l’ebreo. La seduzione diviene strumento di manipolazione. È apprezzato il riferimento al film “Ieri, oggi e domani”, per la scena in cui Sophia Loren fa lo spogliarello, mentre Mastroianni la osserva.

Il trio, rende il giallo, dai contorni tragici, a tratti divertente, ironico e leggero. Il personaggio di Tito, interpretato da Claudio Mazzenga, porta in scena una romanità popolare ed autentica. Uomo appassionato di calcio e dalle risposte spicce ed argute. Il marito Marcello, riesce a fare tenerezza, lui vorrebbe tornare alla sua vita vera e smettere di viverne una finta. Riacquistare serenità. È innamoratissimo della moglie e posto dinanzi ad un dubbio sulle sue macchinazioni reagisce con un «Immacolata le bugie non le dice!». Tutti e tre i personaggi in scena sono molto complessi, permettendo agli attori un lavoro davvero intenso che permette di scavare a fondo nell’animo umano. Lo spettacolo si apprezza per la loro bravura e ritmo, in un crescendo esasperato per un finale surreale.

Lo spettacolo è da non perdere e sarà al Teatro Diana in scena fino a domenica 9 febbraio. Per informazioni sui biglietti è possibile contattare il botteghino del Teatro al numero 0815567527.