NAPOLI – Tante soddisfazioni per l’attore Massimiliano Gallo, che, solo nell’ultimo periodo, è stato premiato a Venezia per il film “Il Sindaco del Rione Sanità” di Martone ed ha registrato boom di ascolti per la fiction RAI “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore” con enorme gradimento degli spettatori. Protagonista dello spettacolo teatrale “Il silenzio grande” di Maurizio De Giovanni, diretto da Alessandro Gassman, con Stefania Rocca e Monica Nappo, torna a Napoli dopo la trasferta romana al Teatro Quirino che, con un dato record, ha registrato il tutto esaurito per due settimane. Lo abbiamo incontrato per una piacevolissima chiacchierata in occasione del debutto napoletano dello spettacolo, che sarà in scena al Teatro Diana da stasera 30 ottobre al 10 novembre. (Clicca qui per informazioni sullo spettacolo “Il silenzio grande” – Napoli a Teatro)
Sicuramente un bellissimo periodo ricco di riconoscimenti e le novità possono solo aumentare visti i tanti film in cantiere. Ci parli dei progetti futuri?
Quest’anno avevo cinque film in uscita, il primo è uscito ed è “Il Sindaco del Rione Sanità” con cui siamo andati a Venezia in concorso. Piacevolissima sorpresa è stata ritirare il Premio Pasinetti come Miglior Attore. Adesso in uscita ho altri quattro film: “Pinocchio” di Garrone, un film di Ivano De Matteo che si intitola “Villetta con ospiti” in cui sono protagonista con Giallini, Marchioni, Cescon e Storti, un film con Scamarcio e Mastandrea che si chiama “Gli Infedeli” di Mordini e per ultimo un film di Giampaolo Morelli “Sette ore per farti innamorare”. Io ho creato sempre tanti problemi al mio agente, oramai è risaputo che se mi piace una cosa io accetto, poi i problemi sono suoi che deve incastrare tutto. Sono diversi anni che ho tanta voglia di fare. Ho la sensazione di aver cominciato tardi al cinema, ero già grande quando nel 2008 iniziai con “Fortapàsc”,ho voluto recuperare il tempo perduto. Con grande orgoglio oggi mi rendo conto di essere arrivato a 33 film, una quindicina di fiction e davvero tanti spettacoli. Per quanto riguarda i lavori futuri, in ambito teatrale sicuramente l’anno prossimo faremo una ripresa di questo spettacolo e debutteremo con uno nuovo con la stessa produzione Mirra. In ambito televisivo, invece, inizieremo a dicembre a girare la terza serie dei “Bastardi di Pizzofalcone” e posso anticipare la notizia ufficiosa della realizzazione della seconda serie di “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore”, visto il forte gradimento.
Numerosi i riconoscimenti
Molti fanno finta di snobbare i premi, io al contrario penso che siano una bellissima carezza per il lavoro che fai, fanno bene. L’hanno scorso ho ricevuto il “Cineciak d’Oro” per la commedia “Sirene”, il “Premio Le Maschere del Teatro Italiano” per “Il Sindaco del Rione Sanità”, “Nastro d’Argento per la legalità” per “Nato a Casal di principe”. Quest’anno il Premio Pasinetti. Ho in primo luogo la serenità di uno che ha fatto tanta gavetta, e che quindi inevitabilmente ha i piedi ben piantati a terra, ed in secondo luogo la maturità di assaporare e godermi questo momento, che se fossi più giovane e meno strutturato potrebbe essere solo motivo di deconcentrazione.
Parliamo dello spettacolo imminente, che ha debuttato settimana scorsa al Teatro Quirino e che sarà da domani al Teatro Diana. Rifacendoci al titolo, il tema fondamentale è il silenzio, esistono tanti tipi di silenzio. Che considerazione ha Valerio del silenzio e a cosa lo associ invece tu Massimiliano?
Valerio non si rende conto di aver creato questo silenzio così grande, non è in grado di capire. E’ talmente concentrato su se stesso, sulla sua carriera, premi e riconoscimenti da non accorgersi di aver creato nel suo cammino una serie di piccoli silenzi che hanno creato un silenzio enorme. Nel momento in cui i figli e la moglie si recano nel suo studio, che per lui è sacro, e vanno a vomitargli addosso tutte le sue mancanze, per lui è cosa davvero inaspettata. E’ interessante la dinamica che si crea familiare, perché lui comunque reagisce a queste accuse rivendicando il fatto che queste mancanze derivano da sacrifici fatti proprio per la famiglia. Nel periodo in cui studiavo il mio personaggio mi sono chiesto più volte se capitasse di sbagliare anche a me. Mia figlia ha 17 anni e mezzo, e nell’inviarle il video di un premio ricevuto mi venne da chiedermi se potesse interessarle veramente. Condividere certe volte può essere solo una nostra velleità ma deve avere radici solide per poter essere reale. Il personaggio di Valerio, di questi silenzi quindi, non ha nessuna percezione, io come Massimiliano penso che all’interno di una dinamica familiare sono abbastanza deleteri, credo che vadano riempiti sempre anche con degli scontri. Nel testo è molto bello il punto della spiegazione del Silenzio Grande identificato come «una cosa che si costruisce con dei piccoli silenzi, momenti in cui ti dici “Casomai glielo dico un’altra volta”». Parole mai dette che si cumulano, capaci di deteriorare qualsiasi rapporto familiare, amichevole o di coppia, creando paludi, da cui non sempre è facile uscire.
Secondo te quale sarà il fattore dello spettacolo che più apprezzerà il pubblico?
E’ dai tempi in cui facevo Scugnizzi che non vedevo una sala ferma, seduta, per applaudire e godersi fino all’ultimo momento i ringraziamenti. Di solito quello è il momento in cui tutti fuggono. E’ uno spettacolo che a livello emozionale ti da tanto, è molto coinvolgente. Secondo me il pubblico ha voglia di vedere cose nuove. A teatro vengono riproposte, sempre più frequentemente, riletture con nuove vesti di celebri spettacoli, che però non apportano effettiva novità. Questo testo è inedito, il fatto di non conoscere la storia, entrare in empatia con i personaggi e viverne le sorti, rende questo spettacolo interessante.
“Il Sindaco del Rione Sanità”, originariamente storia di Eduardo De Filippo, è stato trasposto quest’anno nel mondo del cinema da Mario Martone. Già nel 2017 eri nel cast della produzione del Teatro Nest e nel 2018 hai vinto il “Premio Le Maschere del Teatro Italiano” come attore non protagonista per quello spettacolo. Quali sono le tue considerazioni tra lavoro teatrale e cinematografico?
Secondo me Mario è riuscito in un’impresa abbastanza complicata. Le trasposizioni teatrali nel cinema non vengono quasi mai bene. Non è facile, o fai uno spettacolo misto con un occhio cinematografico o ne fai una trasposizione con adattamento, quindi non fai veramente lo spettacolo ma un adattamento di questo. Mario è riuscito a unire il linguaggio teatrale con quello cinematografico, la struttura aveva forti radici teatrali ma è stata immessa in un’aria cinematografica capace di dare spazio all’immagine e all’immaginario. E’ riuscito a mischiare le due cose. Io avevo fatto già un lavoro di sottrazione pure a teatro, sulla costruzione del personaggio che volevo fosse molto asciutto ma che andasse in levare, musicalmente parlando. Al cinema ho potuto farlo ancora di più, perché è possibile fare un lavoro di cesello. Basta un microsguardo o un microsorriso per rendere a pieno e far capire cosa stai pensando. A teatro devi dimostrarlo un po’ di più. Io credo che un buon attore debba essere prima di tutto un attore di teatro completo che poi sappia usare tutti i vari linguaggi.
Barracano, il Sindaco del Rione Sanità, non è un banale capomafia. Non lo vedeva così De Filippo e non lo racconta in quel modo neanche Martone, che mette in scena un clan malavitoso ma principalmente raccontando una mentalità, un modo di essere e di sentire. Nella capacità di De Filippo di raccontare Napoli così com’era, tu che molte volte nella tua carriera teatrale ti sei approcciato ai suoi testi, quanto credi nella sua contemporaneità?
Eduardo è tra i grandi drammaturghi, al pari di Shakespeare e Cechov. E’ riuscito ad esplorare l’universo della famiglia da molteplici punti di vista. E’ un autore sicuramente molto contemporaneo, e lo dimostra il fatto che a Venezia “Il Sindaco del Rione Sanità” ha vinto il “Premio Leoncino d’Oro” che è assegnato dalla giuria dei giovani. E’ un autore più moderno di quanto si possa immaginare. Io gli riconosco grande genialità quando ripenso a “Napoli Milionaria”, commedia del 1945, scritta poco dopo la fine della guerra. Lo puoi fare solo se hai un occhio che riesce a vedere davvero al di sopra di quello che succede. Sfido chiunque ad avere la lucidità di parlare della guerra e le sue brutture così presto, con un’analisi del cambiamento dell’animo umano, che in quelle circostanze è capace persino di venderti. Riesci a farlo solo se sei di quel pianeta da cui vengono i grandi autori, che riescono a vedere le cose dall’alto, dal di fuori, focalizzando l’animo umano senza giudicarlo ma mettendolo in piazza.
Quali sono le tue considerazioni sull’attuale teatro a Napoli e sul pubblico.
Innanzitutto io non ho mai creduto alla crisi del teatro. Sarà una fortuna mia ma io ho sempre fatto spettacoli di grande successo di botteghino. Anche quando stavo con Carlo Giuffrè, con Salemme, con gli Scugnizzi, ma anche negli spettacoli con mio fratello Gianfranco, abbiamo sempre riscontrato un numeroso pubblico. Non ho mai creduto a questa storia del teatro morto, per me il teatro muore se non ti preoccupi più del pubblico. Riconosco che in alcuni casi c’è stato un blackout tra teatranti e pubblico, allora si, il teatro in quel caso muore perché non ti preoccupi più del pubblico ma delle sovvenzioni e allora è normale che non funziona. Se invece fai il teatro per il pubblico, difficilmente quello ti tradisce. Negli anni sceglie accuratamente i personaggi capaci di non tradire le aspettative. Rispetto alle produzioni io credo che Napoli sia un universo a parte. Credo sia tra le poche città che hanno reagito alla pochezza culturale di questi ultimi decenni attraverso la cultura. Napoli sforna di continuo talenti, nel teatro, nella musica, nella recitazione. Anche a livello autorale, se c’è un po’ di nuova drammaturgia lo si deve, per citarne alcuni, a Moscato, a Ruccello, autori che guarda caso sono napoletani. E’ una città che anche nelle sue contraddizioni evoca sempre il magma del Vesuvio che sta lì a ribollire.
Che consiglio daresti ad un giovane attore?
Io li incontro i giovani attori, ogni tanto faccio laboratori. Quest’estate ho fatto una bella masterclass a Giffoni, sono stato sette giorni con questi ragazzi tra i 18 e i 25 anni. Devo riconoscere che li scoraggio molto ma ti spiego il perchè. I ragazzi hanno avuto, in questi anni di reality, messaggi un po’confusi. Molti di loro pensano solo ad apparire, e non importa come, pure il telegiornale andrebbe bene. In secondo luogo pensano che puoi essere anche solo simpatico, c’è molta approssimazione, molta pigrizia, poca voglia di studiare. Quindi quando faccio i laboratori quello che dico ai ragazzi è che innanzitutto è necessario un talento, inutile perdere tempo, e poi c’è bisogno di studiare tantissimo. Purtroppo non conoscono testi, non conoscono niente del teatro neanche i generi, non sanno tenere un foglio in mano, non sanno leggere. Ed oltretutto sono arroganti nel darsi scuse, raccontandosi che esistono le raccomandazioni. Io credo si debba essere preparati al 150%, quando passerà il treno, perché ad un certo punto passerà, devi essere pronto ed in grado di prenderlo. Io vengo da una famiglia d’arte dove chiaramente questo non è un lavoro ma un’idea di vita, in tutto e per tutto. Per me l’approssimazione non esiste, la preparazione deve essere micidiale, devi essere completamente preparato.
Giungiamo all’ultima domanda che, è un po’ di rito nelle interviste della nostra redazione, riguarda il momento in cui si è compreso che la propria vita sarebbe stata sposata al teatro. Tu hai debuttato a teatro che eri piccolissimo, 5 anni, ed in famiglia c’erano i tuoi talentuosissimi genitori, quindi il teatro è sempre stato di casa. Ma c’è un momento in cui hai capito che sarebbe stata la tua strada e che non l’avresti più abbandonata?
Io sempre, a differenza di altri bambini che sognavano di fare l’astronauta, io ho sempre saputo che avrei fatto l’attore. Questo è anche un vantaggio, se hai un sogno ed una meta il tuo cammino non si perde in quel vagare dispersivo. Quando tu hai una passione così grande non perdi tempo. Finito il liceo ho iniziato a lavorare con Croccolo, non ho mai pensato di fare altro. Quando c’era Proietti in televisione, che per me è un gigante, all’epoca c’erano le audiocassette ed io mi registravo i monologhi suoi e me li imparavo a memoria e avevo 12 anni, non lo facevo perché dovevo riportarli in teatro, ma solo perché per me era una malattia. Io faccio l’attore perché non ne posso fare a meno.