NAPOLI – A Galleria Toledo, dal 21 al 24 novembre 2024 in scena IL MERCANTE DI VENEZIA da William Shakespeare drammaturgia e regia Laura Angiulli.
In scena Paolo Aguzzi, Giovanni Battaglia, Alessandra D’Elia, Rossella De Martino, Enrico Disegni, Antonio Marfella, Andrea Palladino, Caterina Pontrandolfo, Antonio Speranza. Scene Rosario Squillace.Disegno luci Cesare Accetta; illuminotecnica Lucio Sabatino.
Capolavoro senza tempo di William Shakespeare, restituito alla scena in una nuova edizione che ne rinnova la forma, seppur restando fedele alla sua originale, drammatica, forza.
Da anni, Galleria Toledo propone IL MERCANTE DI VENEZIA con grande successo di pubblico, tra repliche serali e rappresentazioni – in matinée e pomeridiana – dedicate a scuole e università. Ogni edizione ha riscosso un entusiastico consenso, facendo di questa messa in scena un appuntamento imperdibile per chi desidera confrontarsi con il genio shakespeariano in una versione che non smette mai di rivelarsi sorprendente.
Laura Angiulli, esperta conoscitrice della poetica elisabettiana, propone un’esperienza visiva e drammaturgica che si nutre della tradizione ma la reinterpreta, per un pubblico moderno e attento.
L’allestimento scenico è fondamentale: come di consueto, gli attori reciteranno immersi nell’acqua, elemento che potenzia la carica simbolica di questa straordinaria opera. L’acqua diviene metafora di un mondo ambiguo, dove i confini tra giustizia e ingiustizia – tra bene e male- si mescolano, senza mai trovare davvero pace; ogni goccia, così come ogni parola e ogni silenzio, contribuisce a costruire un affresco complesso che ci mette di fronte alle sfumature dell’animo umano ed i suoi fragili, talvolta oscuri, equilibri.
Note di regia
Opera straordinaria. Nella leggerezza solo fittizia della fabula tesse il nodo drammatico, che ne attraversa senza soluzione la materia compositiva.
Senza soluzione, si diceva, perché nell’apparente happy ending della vicenda resta aperto con inalienabile amarezza il versante etico dell’opera, sollevando incertezze proprio su quella felicità che nelle conclusioni di una commedia dovrebbe spartirsi fra tutti, e che in questo caso invece lascia aperto sul campo un dibattito impossibile a definirsi sul come -nel rovesciamento dei canoni della logica corrente – il carnefice venga infine a trovarsi vittima.
“IL MERCANTE” è costruzione complessa, e sembra sfuggire a una precisa definizione di genere, perché se è vero che pare muovere con leggerezza tutto quanto attiene al “luogo” Belmonte -isola sospesa nel trascorrere verso il compimento del promesso amore- e all’universo di Portia con tutto quanto ad esso si accompagna
(desiderio, astuzia, travestimento, abilità di portare a buon fine gli eventi.), per contro su altra sponda il sangue è richiamato in un versante di fantasiosa cupezza: è la vena oscura che conduce alla figura-Shylock e al drammatico sviluppo della di lui storia, irrimediabilmente portata a sventura. Né si esclude dal contesto problematico il personaggio-Antonio, sfumato nella velatura dell’amore infelice per l’amico Bassanio, al cui benessere dedica disponibilità ben oltre il suo stesso interesse, fino al rischio della vita.
Scenario d’eccezione Venezia, universo ricco e animato.
Nella tessitura dell’opera, accanto all’episodio del vecchio ebreo, che sembra rappresentarsi come motore stesso della scrittura, convergono segmenti narrativi molteplici, e molteplici sono le figure che complessivamente disegnano un luogo, e soprattutto un mondo fatto di commerci, traffici, scambi, denari e atteggiamenti e culture; che dicono di terre lontane preziose come sete e inebrianti come spezie e aprono suggestioni nell’immaginario dello spettatore: le merci d’Oriente attese allo sbarco nelle rade veneziane si consolidano in tracce di vita concreta, col danaro che fa sentire tutto il suo peso nello sviluppo dei fatti, e che finisce col mercificare ogni situazione o legame, anche quelli dove invece il sentimento potrebbe avere forza e valore.
Al centro della trama –inusuale e geniale invenzione drammaturgica – il “contratto”, accettato per burla e poi veramente giunto alla resa dei conti, che sancisce, quale pena per eventuale mancato soddisfacimento del concordato, una libbra del corpo del contraente Antonio. È evidente la distonia fra la modernità che richiama l’organizzazione economica della Venezia rinascimentale di palese impianto capitalistico –così si rappresenta nell’opera fin dalle prime battute – e l’arcaismo del rituale imposto dal contratto. Occorrerà l’abile strategia di Portia alla soluzione del caso: con spregiudicato travestimento si proporrà in funzione di giurista e, invocata invano la mercy dell’ebreo, trascinerà la vicenda in un ambito di capzioso impianto legale, più aderente ai principi della cultura cristiana e all’impianto della giustizia veneziana.
Infine, tra i tanti elementi dell’intreccio, l’amore è chiamato faticosamente in causa; tenta di traghettare la vicenda in acque dall’apparenza più serena, e segna in qualche modo un luogo di riparo estetico nel finale compimento delle nozze, anche a sostegno dell’ipotesi della commedia.
Laura Angiulli
« Aspetta un momento, c’è qualche altra cosa – questo contratto non ti dà una sola goccia di sangue, le parole sono espressamente: “Una libbra di carne.”
E dunque esigi la tua penale, prenditi la tua libbra di carne, ma se tagliandola verserai una sola goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi beni saranno, secondo le leggi di Venezia, confiscati in favore dello stato veneziano…» (da W. Shakespeare, The Merchant of Venice)