Il Progetto di Officinae Efesti “La Grande Bellezza” vince a Bruxelles “PON Eccellenza 2019”
INTERVISTA – Officinae Efesti è un’organizzazione di Management Culturale attiva da vent’anni in Campania e non solo. Con passione sempre crescente si è affermata, nel tempo, come fucina di progetti di mediazione culturale, multidisciplinari artistici e di innovazione sociale. Non si è mai allontanata dallo spirito di iniziativa che portò alla creazione, nel 2003, del grande “Eruzioni Festival” diretto da Agostino Riitano tra le nuvole, a quota 1000 sulle pendici del Vesuvio, con spettacoli e workshop residenziali di interesse internazionale. Le caratteristiche di questa organizzazione possono essere sintetizzate proprio così: una creatività sospesa di leggerezza infusa di coraggio, al contempo dirompente come lava, presente con una solidità disarmante. Stefania Piccolo, co-fondatrice insieme ad Agostino Riitano e Francesca Capasso, è un vulcano di idee in piena attività, carica di magnetico desiderio di coinvolgimento e condivisione. Ci ha raccontato, in una lunga ed intensa conversazione che è volata, dello strepitoso successo ottenuto dal progetto de “La Grande Bellezza”, PON Eccellenza 2019 presentato pochi giorni fa a Bruxelles. Un grande racconto per sempre grandi progetti.
“La Grande Bellezza” è stato scelto qualche giorno fa a Bruxelles come Best Practice nazionale. Una grande soddisfazione ripensare alle grandi cose che è possibile fare nelle scuole, ora che sono sospese per l’emergenza.
Si, è stato presentato a Bruxelles a porte chiuse il 5 novembre mattina. Ogni anno l’Autorità di Gestione Nazionale ed Internazionale fa il punto della situazione di tutti i progetti valorosi attuati nelle scuole nell’ambito del Ministero della Pubblica Istruzione. Con il nostro progetto “La Grande Bellezza” avevamo già superato, nel marzo 2020, la prima fase di selezione “PON Eccellenza”. In questo progetto abbiamo coinvolto quattro scuole (Istituto Aldo Moro di Casalnuovo, ICS Don Milani Capasso, la Scuola Caporale di Acerra e il Liceo Artistico Majorana di Pozzuoli) nei territori di Casalnuovo, Acerra e Pozzuoli. Interessando circa seicento ragazzi, centocinquanta per ogni scuola. Ci era stato comunicato che l’11 marzo avremmo dovuto presentarlo, con uno spettacolo, al Teatro Augusteo di fronte al Ministro Azzolina. Il Governo aveva inteso il valore de “La Grande Bellezza” che è riuscito a mettere insieme molte discipline conferendo ai ragazzi un carico esperienziale enorme dato dal coinvolgimento di artisti, artigiani, familiari e professionisti. Il Covid ha bloccato la possibilità di presentarlo in teatro, come anche quella di presentare una parte del progetto tra le strade di Salerno in un momento di confronto con altre otto scuole della Campania. A settembre decisi di contattare per sapere se, nonostante l’impossibilità della cerimonia fosse stato possibile ricevere almeno degli attestati per i ragazzi, e mi dissero che stavano ultimando le selezioni di PON Eccellenza e che se avessi aspettato ci sarebbe potuta essere una vera e propria premiazione. Così fu che ci comunicarono che il nostro progetto sarebbe stato presentato alla Commissione Europea come Best Practice nazionale, Migliore PON di innovazione sociale che ha saputo creare un collegamento solido tra scuola, impresa culturale ed impresa commerciale. Oltre il materiale che hanno ricevuto da noi, video e foto, hanno voluto comporre un altro video con interviste di oggi, fresche, via Zoom, ai bambini. Ne abbiamo scelti otto, due per ogni scuola. Hanno poi fatto intervista a me e al Preside della Scuola capofila di Casalnuovo, Michelangelo Riemma .
Hai già visto le interviste dei ragazzi?
Non me le hanno inviate, ma ho sentito i ragazzi che mi hanno raccontato. Mi hanno colpito alcune loro frasi, proprio nell’anima. Un bambino, Emanuele (9 anni), gli hanno chiesto cosa ricordasse del progetto e lui si è ricordato tutto, gli hanno chiesto “Che cos’è la bellezza?”, lui ha risposto “E’ qualcosa che adesso mi manca. Mi manca il progetto e mi manca tutto il gruppo”, eppure è trascorso un anno, mi sono sciolta. Poi hanno intervistato Alessia del Liceo Majorana, che adesso ha 19 anni. Lei apparteneva al gruppo che ha approfondito le ritualità campane, ma le era piaciuto molto anche un altro modulo del progetto basato sulla digitalizzazione degli archivi. Mi ha detto di essersi iscritta alla Facoltà di Ingegneria Informatica perché la voglia gliel’abbiamo fatta venire noi, e già questa è una grande soddisfazione, però non è finita qui, lei ha raccontato che all’università ha incontrato dei ragazzi di Nola, a cui ha parlato in modo puntuale della Festa dei Gigli che aveva studiato durante il progetto, e loro ne sono rimasti sconvolti. Si trattava di curiosità della propria città che totalmente ignoravano. E’ stato bellissimo sentirle dire “Non vedo l’ora che finisce questa pandemia per poter parteciparvi”.
Ci descrivi i moduli del Progetto? A quali fasce d’età era rivolto?
I ragazzi coinvolti avevano dai sette ai diciassette anni. I nove moduli sono stati progettati per poter essere adatti per ogni fascia d’età: elementari, medie e superiori. C’era ad esempio il modulo “Mapping” allestito con un gioco denominato “Bellezzopoli” ideato sulla falsa riga di Monopoli. I ragazzi hanno costruito le caselle per strada con gessetti colorati giganti e degli acrilici, solo che le domande erano sul patrimonio, quindi i ragazzi giocavano su quello che avevano studiato durante l’anno, con dadi giganti che abbiamo costruito con cartone riciclato. C’era il modulo “Digital Human Heritage” sul turismo sostenibile, complesso, allestito solo per scuole medie e superiori e poi il modulo “Who is San Gennaro?” che era un indagine e studio sulle ritualità campane. Un lavoro sulla ritualità ma anche sul movimento, prima parlavamo delle bande del giglio di Nola. Per i bambini più piccoli c’è stato “L’uomo artigiano” che era un lavoro sulla sartoria, è piaciuto tantissimo, soprattutto ai maschietti. Per questo modulo abbiamo coinvolto le sartorie del territorio e la grande azienda di Cesare Attolini che ha vestito Servillo nel film “La Grande Bellezza”. Poi abbiamo fatto “Schoolkit” un modulo sulla catalogazione digitale degli archivi. Nel liceo, la scuola ci ha dato la possibilità di catalogare una sezione di inglese, mentre con i piccolini abbiamo creato delle storie, degli audio racconti che sono diventati sia sonori, inseriti nella piattaforma di consultazione delle scuole, sia di un libro gigante che poi loro hanno portato in processione durante la parata. Ultimi tre moduli, particolarmente teatrali, “Radici”, “Bellezza diffusa” e “Teatro al centro”, in questi abbiamo lavorato con tutte e tre le fasce d’età, su maschere, storia del teatro e antropologia teatrale. In questo ambito sono intervenuti la danzatrice Roberta De Berardinis e Costantino Raimondi per il mimo corporeo.
Sarai sicuramente orgogliosa del riscontro che ha avuto la tua idea con la tua organizzazione.
Tantissimo ma soprattutto, quando ci ripenso, mi compiaccio della forza che è stata necessaria per intersecare tutto. Il coordinamento generale di 19 persone l’ho portato avanti io con l’aiuto validissimo di Alessandra Magnacca e Ilaria Ceci, e soprattutto la perseveranza nel tenere intatta l’idea originale del progetto che era nata così. Per me non era spezzettata, tutto aveva un senso. Se penso che un lavoro così diversificato ha dato vita ad una parata, non buffa e improvvisata ma performativa, precisa, con passi e coordinazione. Certo, ci sono voluti tre giorni di prove, però è stata possibile perché tutti erano realmente coinvolti. Io mi metto in gioco, veramente ci metto corpo e anima, non si può star lì a dare indicazioni e basta. Un po’ carota e un po’ bastone, sono essenziali tempi in cui li fai abbracciare i ragazzi, liberare, sfogare, sono importantissimi. Per la cura del patrimonio umano è essenziale ascoltarli tanto. Ci sono delle giornate in cui non va bene fare mimo corporeo, perché ti devi rendere conto di che umore sono. Noi abbiamo voluto un tutor per ogni modulo, che erano nove ma distribuiti in quattro scuole, due scuole ne avevano sette e le altre due ne avevano quattro. Erano necessari 22 tutor, che inizialmente erano un po’ spaventati da questa modalità sperimentale perché erano abituati al disegnino preciso, però si è creato subito un clima di fiducia. Le prime volte è stato essenziale il mio sostegno, perché alcuni ragazzi facevano proprio i bulli, poi con me si sono calmati. Io ho lavorato nelle carceri, ho avuto abbastanza esperienza. Anche i ragazzi più ostili dopo hanno voluto far parte di quello che stavamo creando insieme.
Mi ha colpito molto che nella vostra descrizione “patrimonio culturale” fosse stato abbinato all’aggettivo “abbandonato”. Si può dire che principalmente il progetto abbia una mission di recupero?
La domanda che mi ponevo e rivolgevo ai ragazzi è stata “Che cos’è la bellezza?”. E’ importantissimo comprendere che da territori periferici e degradati sono usciti dei lavori molto belli. I ragazzi stessi, attraverso la fotografia, la mappatura del territorio o attraverso il lavoro teatrale che abbiamo svolto vicino a monumenti abbandonati, si sono resi conto che anche nelle cose incustodite si nasconde il bello perché è lo sguardo che è bello. E’ importante capire l’essenzialità del prendersi cura di qualcosa di cui nessuno si prende cura. Più il territorio è abbandonato mi viene da dire, più il terreno è fertile perché ci sono i presupposti per riuscire a trasformarlo. Abbiamo cercato di trasferire a loro che, è vero molto dipende dalle istituzioni, ma se aspettiamo sempre dall’alto le cose è facile diventare il cittadino di domani non soddisfatto del proprio sindaco o assessori. Una volta abbiamo ospitato, nel modulo Mapping, l’Assessore all’urbanistica del Comune di Casalnuovo, abbiamo chiesto ai ragazzi di fare tutte le domande che volevano anche in riferimento al lavoro che stavano facendo. Ci siamo ritrovati nel punto comune di voler poi chiedere ai ragazzi, non tanto che cosa volessero (una parco urbano , un’area giochi,..) ma piuttosto come lo costruirebbero. I luoghi devono essere a misura dell’abitante che ci abita, è chiaro che il desiderio è quello di non voler vedere l’immondizia ma nel 2020, soprattutto dove si lavora di innovazione sociale e culturale, sulla trasformazione del bello e della cura, sarebbe una domanda troppo semplicistica. La domanda deve essere fatta al bambino, noi adulti potremmo sorprenderci di vedere che lo sanno più di noi con i giusti stimoli. I nostri progetti hanno sempre scie lunghissime, facciamo il triplo di quello che sulla carta dovremmo, senza mai abbandonare e curando tutto nel dettaglio. L’ obiettivo è non perdere neanche un ragazzo. Anche docenti e bidelli ci hanno fatto i complimenti per il nostro successo. Pensa che i ragazzi chiamavano il nostro PON “La Grande Bellezza” mentre gli altri “PON” e basta.
In cosa individuiamo l’innovatività del progetto?
L’innovativo, l’hanno detto quelli del Ministero è anche essere riusciti non solo a lavorare con gli studenti ma aver coinvolto la collettività. Abbiamo coinvolto il nonno di una bambina, fotografo, che nel modulo Mapping, ha fatto una lezione, come ospite, sulla memoria storica del paese attraverso le sue fotografie. Per il modulo sull’artigianato, non solo abbiamo portato i bambini nella sartoria a vedere costruire giacche di 2mila euro nella sartoria Attolini, ma abbiamo anche invitato tre sarte di diverse età, una di 90, una di 50 ed una di 30 per far vedere loro come cambiavano le tecniche, i metodi e la differenza con la grande sartoria. Quindi la differenza tra la grande impresa, gli esperti professionisti e gli artigiani del posto. Pensa che la sarta di 90 aveva imparato dalla nonna. Abbiamo cercato di coinvolgere sempre più artigiani per un maggiore carico di esperienza, dai panettieri (Casalnuovo famosa anche per il pane) ai fornai, i cartapestai, fino alle visite al Museo di Arte Contemporanea Casa Morra di Napoli e agli scavi di Cuma ed il Complesso Archeologico di Baia. Creare una rete solida di collaborazioni vale anche per i progetti futuri e gli utenti si ricordano di te, al punto di aderire sempre con piacere alle tue proposte.
Sono convinta che neanche il Covid possa fermare la vostra attività sempre in fermento. Hai qualche anticipazione?
Esatto, in realtà non ci siamo mai fermati, stiamo attuando un progetto che da poco abbiamo presentato in un bando, che ha già avuto un discreto successo nell’ultimo periodo “Le vostre storie, la nostra voce”. E’ nato durante il lockdown, sulla linea di due progetti che avevamo avviato e che sono stati rallentati dal Covid. Il primo denominato “Suburban Human Books” sulla scrittura creativa collettiva a partire da Alice nel Paese delle meraviglie. Questo progetto ha coinvolto 35 ragazzi con cui stiamo tentando di riscrivere la storia di Alice attraverso le storie del territorio, utilizzando tecniche di scrittura di getto illustrate con la collaborazione di una bravissima scrittrice, nonché insegnante di drammaturgia, Stefania Bruno. Nel 2021, questo lavoro porterà ad un’installazione sonora, alta 8 metri composta di libri, che con un sensore attiverà gli audio racconti dei ragazzi. Il secondo progetto si chiama “Voci in dono” ed è sempre un lavoro sulla voce che porterà alla costruzione della prima biblioteca di audiolibri per bambini dislessici in Campania, questa volta su i racconti di Rodari ed anche qui mi avvalgo della collaborazione di una bravissima insegnante di LIS con anche esperienza teatrale, Ilaria Montalto.
Sulla base di questi due progetti mi è venuta questa follia, per cui ho immaginato il progetto “Le vostre storie, la nostra voce”. Durante il lockdown ho fatto una vera e propria chiamata alle armi sul web, per avvicinare chiunque avesse voglia o desiderio di inviarmi un racconto scritto, la propria storia di questo momento tostissimo di lockdown. L’intento è stata poi di dargli voce grazie alla maestria di un gruppo di attori e di due sound designer davvero in gamba, Gennaro Caruso e Luca Scarpati, per formare un catalogo online. C’è un ragazzo, Leonardo, che ha la Distrofia di Duchenne, lui scrive con gli occhi, ci ha inviato una storia bellissima. Ho chiesto ad Arturo Muselli, mio amico, di dare voce a quella storia, non sapendo che Leonardo lo adorasse. L’ho reso molto felice non sapendo. Abbiamo ricevuto 35 testi, li abbiamo ripuliti di piccoli errori grammaticali e in alcuni casi li abbiamo lasciati, sono storie di vita: una storia di bullismo inviata da una bambina di Palermo, una storia di violenza di una giovane donna che ci ha scritto con un nome fittizio, per citarne alcuni. Poi però abbiamo voluto fare qualcosa in più. Abbiamo scoperto che erano nati progetti simili al nostro, e abbiamo cercato sinergie, prima con alcune ragazze di Benevento che si occupano di cinema e si chiamano “Kinetta Labus”, poi con un gruppo di illustratrici che avevano dato vita a “I racconti dalla finestra”. Siamo Orgogliosissimi della riuscita di questo catalogo che è stato messo in vendita online, il cui ricavato è stato devoluto al Policlinico di Milano per la lotta al Coronavirus.
Ora l’idea è quella di internazionalizzarlo ancora di più. L’ho già presentato in un bando e in attesa dell’esito si sta strutturando come “Radio Voci in dono”, una radio delle storie dell’umanità. La gente vuole raccontare, soprattutto in questo periodo di isolamento, ci sono tanti stati d’animo che desiderano condivisione. “Vostre storie, nostra voce” rende tutto possibile, anche per chi non vuole metterci la faccia o la voce. Alcuni hanno detto “è la prima volta che racconto questa storia”. L’intento è poi quello di far diventare i ragazzi di Officinae Efesti gli speaker della radio. Sarebbe bello se riuscissimo a creare una postazione itinerante per strada. Stiamo viaggiando. Ci uniamo nella voci piuttosto che nei corpi ora che non si può. Vedremo.
©Foto di copertina di Vincenzo Maddaluno