RECENSIONE – Fino al 20 febbraio “Il Berretto a Sonagli”, nel nuovo allestimento di Gabriele Lavia, sarà in scena al Teatro Diana. Uno spettacolo che sa far ridere per i sotterfugi e le ipocrisie e riesce a scuotere lo spettatore nel ricordare la grande convinzione di Pirandello per cui, nella vita, occorre sempre più di un pizzico di follia per restare sani di mente. Si chiude il sipario lasciando un sorriso amarissimo e la voglia di sentire ancora le parole di Ciampa, interpretato in modo magistrale dallo stesso Lavia.
Il pubblico viene avvicinato alla storia seguendo con lo sguardo ombre di personaggi che irrequiete si spostano da un punto all’altro, prima più grandi poi piccole, coscienze interiori sempre in moto. Si apre la scena su un salotto sbilenco dove ritroviamo la padrona di casa, la Signora Beatrice, nobildonna siciliana dei primi del Novecento tormentata ed esasperata dall’infedeltà del marito, il Cavalier Fiorica. Gli oggetti sembrano trasfigurazioni del suo animo interiore, poltrone e divani hanno piedi sghembi che rendono per tutti la seduta obliqua. Lei, interpretata con intensità da Federica Di Martino (anche moglie di Lavia), si presenta elegante nei suoi abiti e vogliosa di vendetta e libertà. Grazie al consiglio di un’intrigante concittadina, la Saracena, decide di denunciare il tutto alle autorità locali e cogliere sul fatto l’adultero con l’amante, la giovane e bellissima Nina, moglie dello scrivano fidatissimo del banco del Cavaliere stesso, Ciampa. Cerca di dissuaderla senza riuscirci la sua serva Fana, esilarante nei suoi interventi, interpretata sempre in siciliano dall’attrice Maribella Piana. Scelta registica, infatti, è stata una commistione tra italiano e siciliano, facendo riferimento alle due versioni scritte da Pirandello.
A margine del salotto sono posizionati tanti manichini eleganti, fermi ad osservare, a rappresentare la società, pronta a scrutare e commentare, sin anche i fatti che accadono tra le mura domestiche. La Signora Beatrice procede nell’ordire questo piano, cercando in tutti i modi di escludere il fratello Fifì e la mamma Assunta, che non potrebbero mai comprenderla né accettare quelle che potrebbero essere le conseguenze. Decide di convocare Ciampa e allontanarlo fuori città per una commissione insignificante. Lui è anziano, umile ma è il più colto di tutti. Una volta arrivato comprende che l’animo della Signora è in tumulto, resta molto cordiale nei suoi confronti e dona a lei un consiglio sul vivere civile che, secondo Ciampa, consiste nel “tenere accordato lo strumento”. «Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza. […] Lei, signora, in questo momento, mi perdoni, deve aver girato ben bene in sé – per gli affari suoi – (non voglio sapere) – o la corda seria o la corda pazza. Che le fanno dentro un brontolio di cento calabroni! Intanto, vorrebbe parlare con me con la corda civile. Che ne segue? Ne segue che le parole che le escono di bocca sono sì della corda civile, ma vengono fuori stonate. Mi spiego? […] Badi che, chi non giri a tempo la corda seria, può avvenire che gli tocchi poi di girare, o di far girare agli altri la pazza».
Ciampa prosegue nel descrivere alla Signora che questo lavoro sullo strumento a corde consente agli individui di non calpestare l’un l’altro i propri “pupi”, in questo grande Teatrino di Marionette che è il vivere civile. «Pupo io, pupo lei, pupi tutti. […] Ognuno poi si fa pupo per conto suo. Quel pupo che può essere o che si crede d’essere. E allora cominciano le liti! Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto. Non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori. A quattr’occhi, non è contento nessuno della sua parte. Ognuno, ponendosi davanti il proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri, no; dagli altri lo vuole rispettato».
Una volta andato via Ciampa, resta nella Signora il dubbio che lui ne sia a conoscenza. Ne è totalmente ignaro? oppure, sottomesso al padrone e accecato dall’amore per la moglie, volta le spalle a ciò che gli accade in casa? Agli ammonimenti di Ciampa, Beatrice Fiorica non presta ascolto: la denuncia conduce all’arresto del Cavaliere e di Nina. Emblematica è la figura del Delegato Spanò, interpretato da Mario Pietramala, che nella sua goffaggine incarna il dibattimento tra la realtà oggettiva e la tutela della maschera, l’apparenza dell’esteriorità così come la vorrebbe la società. La donna, indotta a credere all’innocenza del marito sarebbe ormai pronta a lasciarsi ogni cosa alle spalle. Ma Ciampa, a cui è crollato in testa il cielo ferendolo, vuole parlare con lei. La verità, pubblicamente svelata, rende al vecchio scrivano impossibile continuare a vivere con addosso il peso dell’onta. Lui stesso spiega che a un uomo disonorato, per recuperare l’onore, non resta che il delitto, assassinare la moglie adultera e il proprio principale.
L’intensità nell’ultimo atto è crescente e, agognata, giunge la torsione tipica dei racconti di Pirandello: la pazzia è l’unica soluzione. «Fare il pazzo! Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare per davvero tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità. La cassa dell’uomo, signora, comporterebbe di vivere, non cento, ma duecent’anni! Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d’ingozzare, che c’infracidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora! Il non potere aprire la valvola della pazzia! Lei, può aprirla: ringrazii Dio, signora! Sarà la sua salute, per altri cent’anni!». Se la Signora è pazza allora non c’è onore da dover riparare, che peso possono mai avere le parole di una pazza?! Protagonista indiscussa resta l’ipocrisia, quella di una società a cui conviene mentire per non rompere i suoi rigidi equilibri. Se risulta immancabile immergersi nelle parole di Pirandello (ci siamo permessi spoiler in quanto innamorati dell’autore), risulta imperdibile l’occasione di assistere a questo allestimento di Lavia.
di Luigi Pirandello, con:
Ciampa, scrivano: Gabriele Lavia
La Signora Beatrice Fiorita: Federica Di Martino
La Saracena, rigattiera: Matilde Piana
Fifì, La Bella: Francesco Bonomo
Il Delegato Spanò: Mario Pietramala
Assunta, La Bella: Giovanna Guida
Fana, vecchia serva: Maribella Piana
Nina Ciampa: Beatrice Ceccherini
regia di Gabriele Lavia
scene Alessandro Camera
costumi ideati dagli allievi del terzo anno dell’Accademia Costume & Moda di Roma
musiche Antonio Di Pofi
luci Giuseppe Filipponio
produzione Effimera SRL