Luciano Melchionna e il suo “Squalificati” al Sannazaro: «Dove sono gli eroi?»

Una nuova produzione “Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro”: “Squalificati“, di Luciano Melchionna, in scena al Teatro Sannazaro. Dopo il debutto di venerdì 16 novembre, lo spettacolo è in cartellone l’intero weekend, con l’ultima replica stasera alle ore 18.00. Sul palco una raffinatissima e impeccabile Stefania Rocca, accompagnata da Andrea de Goyzueta e Fabrizio Vona, rispettivamente nel ruolo di una giornalista, del Presidente del Consiglio e del segretario stampa del Presidente. Lei, nonostante l’opportunità enorme di intervistare il Presidente, in occasione dello scoppio di uno scandalo che lo coinvolge, si mostra fin da subito corretta e onesta verso di lui. Ma non è abbastanza: il segretario stampa e il Presidente stesso danno il via ad una serie di battute inopportune, giochi di potere e anche inattesi gesti violenti che imbarazzano e denigrano la giornalista in quanto donna, sminuendola fino a farla cadere in crisi, esausta ed esasperata. “Squalificati” è una gara di dignità, forse senza vincitori, che tiene gli spettatori col fiato sospeso e quasi coinvolti, implicati, nel loro poter dare un giudizio finale: una presa di posizione, intima e soggettiva, e un’inconscia volontà di schierarsi che possano chiudere la vicenda a cui il pubblico ha appena assistito. Di questa avvincente rappresentazione abbiamo avuto l’opportunità di parlare col regista Luciano Melchionna.

Come nasce “Squalificati”?

«”Squalificati” è un testo che mi è stato proposto qualche anno fa nel periodo clou del “berlusconismo” e mi sembrava un po’ ridondante allora, per il periodo che stavamo vivendo. Quindi decisi di rimandare, poiché credo sia più bello guardare indietro per fare una riflessione attuale e che sia più proficua. Lo spettacolo nasce, intanto, da un’esigenza. Io dico sempre che sembra siano un po’ in disuso (o spariti, o messi a tacere) gli “Eroi” in questa nostra società. E’ una riflessione importante, perché essere eroi in questo momento significa fondamentalmente essere liberi di avere la possibilità e il coraggio di dire e fare, in virtù dei valori e principi che stanno effettivamente annaspando. Rispetto a questi valori e principi, che sono quasi ormai soffocati da questo sistema malato, io alla fine dello spettacolo faccio un omaggio. Non si tratta di una spiegazione, ci tengo a dire, ma proprio di un omaggio a due che per me sono due eroi: Sandro Pertini e Anna Politkovskaja. E’ proprio un’emblematica domanda che mi ha spinto a rappresentare questo spettacolo ed è “dove sono gli eroi?”».

Di “Dignità Autonome di Prostituzione” lei è stato creatore e regista, mentre qui la scrittura è di Pere Riera. Qual è stato, quindi, il suo approccio all’opera?

«Intanto io, in genere, ho una visione quando leggo i testi: immagino il come e il dove. Quando mi funzionano e ho voglia di farli, lo capisco da questa visione. E’ in questo modo che scelgo di firmare l’ideazione scenica, come ho fatto per “Parenti Serpenti” e il prossimo “Miseria e Nobiltà”. Per “Squalificati” ho creato queste monadi che si muovono all’interno di uno stesso spazio, spaccato in tre parti, che in qualche modo raccontano anche un gioco di società o, come viene definito a un certo punto, il gioco della politica. La giornalista che arriva per intervistare, su un caso molto scottante, il presidente, viene mossa come una marionetta e intorno a lei si sposta lo spazio, come se non avesse più il terreno completamente sotto i piedi. Lei è un personaggio coraggioso, mosso dai principi e dai valori di cui parlavamo, viene messo in difficoltà e la sua reazione rende interessante questo vacillare. Non a caso, per questo ruolo, ho scelto Stefania Rocca che ha un aspetto così elegante e quasi austero, ma che invece ha i suoi talloni d’Achille perché è una donna molto appassionata, sensibile nei confronti dei suoi sentimenti e di ciò che le accade. Tant’è vero che le ho messo anche “un tallone d’Achille fisicamente”, per raccontare come, tutto sommato, tutti noi lo abbiamo e come a volte ci sia la possibilità di cadere se esso viene toccato».

Si ripete in “Squalificati” il tema della “dignità”. In che modo i personaggi sono “dignitosi” rispetto a quelli di “Dignità Autonome di Prostituzione”?

«La dignità sta in primis nel lavoro, nel talento, nella professionalità e nella passione dei miei attori. Per quanto riguarda questi personaggi, è proprio la loro “dignità” che viene messa un po’ in discussione, pur di tenere in piedi questo sistema malato. Da qui, infatti, proprio la battuta – “L’importante è non perdere la dignità” – ed è da lì che si dipana il tutto. E’ un tema che mi sta a cuore».

Negli appunti di regia lei definisce gli squalificati come una categoria “onnivora”. Ci spiega meglio il concetto?

«È una definizione perfettamente attinente, perché ho la sensazione che questo sistema malato abbia mangiato un po’ tutto. Quindi, la riflessione che “muove” me stesso e il pubblico si basa sul fatto che siamo tutti collusi, perché per poter muoversi in un sistema malato e per poter ottenere (percorrere e avanzare nelle proprie carriere) spesso bisogna fare i conti con la perdita della propria dignità, o quanto meno con la rinuncia di principi fondamentali».

Cosa è per lei il teatro?

«Il teatro è per me parte fondamentale e sostanziale della vita. E’ specchio della vita, è emozioni ed è la possibilità di dire qualcosa anch’io. Io credo molto nei piccoli gesti e quindi, in questo modo, posso cercare di fare qualcosa in questa vita, mosso da un motore che è poi il tema di “Ma come si fa?” (lo spettacolo che ho appena messo in scena al Nuovo Teatro Sanità). Il teatro è il motore della vita… è l’amore! Ma l’amore in assoluto (non semplicemente quello di coppia o dei sentimenti romantici), l’amore del “teniamoci per mano ora, che poi si muore, facciamo qualcosa!”».

Cosa ne pensa del teatro contemporaneo?

«Per me il teatro è “Teatro”, con la “T” maiuscola. È un po’ come quando mi dicono “sei un regista sperimentale” e io sorrido. Io sono un regista di teatro e il teatro “è” sperimentale. Credo che ci sia tanto materiale interessantissimo in questo momento, come in tutti i momenti di profonda crisi. Credo che il teatro stia veramente esplodendo, nonostante non ci sia quell’attenzione dovuta, perché nei momenti di crisi la prima cosa che viene trascurata è proprio la cultura. Quest’ultima sembra improvvisamente superflua, quando invece è forse la chiave di lettura più importante per affrontare il mondo. La cultura è l’unica arma. Nel mio film “Ce n’è per tutti” nella cucina di un ospedale, dove ci sono queste infermiere molto superficiali, scrivevo sui muri proprio questa frase: “la cultura è l’unica arma”».