Il legame tra Dario Fo e la città di Napoli

dario fo

Il legame tra il premio nobel per la letteratura Dario Fo e la città di Napoli è sempre stato particolare. Il filo conduttore di questo rapporto furono: l’arte, la cultura e il teatro. A proposito del Teatro, Dario Fo scrisse su Il Mattino, nel 2009, una lettera alla città di Napoli in occasione del Festival di Teatro. Di seguito il contenuto della lettera:

La nascita, anzi, la conferma di un Festival della scena come quello napoletano è una buona notizia. Perchè attira personaggi rappresentativi del teatro, da tutto il mondo; perchè crea teatro producendo spettacoli; e anche perché permette a compagnie, attori e registi giovani di proporsi su una pedana importante; consente loro di crescere e affinare intelligenze e culture sottraendole al regno dell’oscurità.

Sono questi i motivi per cui farò di tutto per essere anch’io a Napoli, la città nobilissima che ho sempre amato. Mi invitano alla seconda edizione del Napoli Teatro Festival Italia come autore di un testo che questa volta altri – l’attore e regista Giulio Cavalli – porta in scena.

«L’apocalisse rimandata ovvero Benvenuta catastrofe» è un testo sull’ecologia, una critica feroce e ironica che ho scritto sullo sciagurato rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Il surriscaldamento del pianeta, i ghiacciai dei poli che si sciolgono e se ne vanno in giro vagabondando negli oceani, città come Venezia, Genova – e Napoli – che rischiano di scomparire perché il livello delle acque cresce: sono problemi che purtroppo sui giornali trovano ancora poco spazio; e non parliamo della tv, dove le cose più intelligenti e interessanti ormai sono relegate soltanto a tarda ora. Io, invece, porto tutto questo a teatro, il regno del presente.
 
«L’apocalisse rimandata» l’ho recitato da solo e insieme con Franca Rame, e ora sono curioso di vedere come Cavalli lo ha trasposto sulla scena del Napoli Teatro Festival Italia. E parlo di questo mio spettacolo non per ragioni egoistiche, ma perché il teatro deve occuparsi dei tempi che viviamo e non del passato.
 
A ogni stagione che Dio ci manda in terra non si contano i ripescaggi di questo e di quello, testi, linguaggi, argomenti già nei programmi degli anni passati, che si ripetono stancamente o con piccole varianti. Nel mondo del teatro c’è come un lasciarsi andare cronico a rifare cose vecchie dentro le cui sicurezze adagiarsi sonnacchiosi e pacificati. No. Il teatro è il presente; il teatro deve parlare dei suoi tempi, aggredirli, scrutarli, anticiparli se è possibile. E i nostri tempi ci parlano di un grande pericolo ecologico.
 
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Certo, il teatro non deve generare panico, ma deve svegliare coscienze addormentate e far riflettere. In questo caso la domanda è: dove andremo a finire se non corriamo ai ripari? E la risposta, tanto per giocare ancora sull’ironia, è una: a mollo! D’altra parte, da sempre tutta la scienza e i mezzi di comunicazione esistono per evitare questi rischi. Il teatro è la forma più diretta e viva di comunicazione e, dunque, bisogna approfittarne, soprattutto perché la televisione si preoccupa non di risvegliare, ma di addormentare gli animi e le menti con i quiz, i giochini, i reality e i talent show.
 
Il teatro, però, può fare ancora di più. La nascita, proprio a Napoli, di questo grande festival, oggi alla sua seconda edizione, può donare un gran bene alla città, perché apre le sue porte al mondo e al mondo fa conoscere non la sua «Gomorra» e la sua «munnezza», ma la cultura, l’antica, nobilissima arte del palcoscenico in cui Napoli è maestra da secoli. Tutte le città, a Nord e a Sud, hanno un terribile bisogno di cultura.
 
Napoli ancora di più. Un grande appuntamento come il Teatro Festival può essere strumento prezioso per far capire a tante persone che a invadere la città possono non essere gli interessi criminali ma attori, scene, costumi, registi, tecnici, impresari, spettatori che vogliono godere il piacere unico che il teatro dà a chi lo ama. Il teatro unisce e crea ricchezza, intellettuale, etica, ed economica.
 
È ciò che non capiscono i governi, che tagliano i fondi per la cultura, per lo studio, per le scuole, soltanto perché non producono vantaggi di potere. Anzi, nelle annuali leggi finanziarie si stornano addirittura i soldi verso altre destinazioni. E addio cultura.