La lingua napoletana nel teatro, un patrimonio mondiale

lingua napoletana

La lingua napoletana,come tutti ormai sapranno è diventata Patrimonio mondiale dell’Unesco. Si parla di lingua e non di dialetto! Il Napoletano, è infatti un linguaggio esportato in tutto il mondo, conosciuto non solo grazie alla canzone napoletana, ma anche per il suo utilizzo nel teatro.

In italiano esistono due parole, sonno e sogno, dove il napoletano ne porta una sola, suonno. Per noi è la stessa cosa” – Erri De Luca.

La Lingua napoletana nel teatro, origini e storia

La fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, rappresentano il periodo in cui cominciò a diffondersi il teatro napoletano, le cui tracce risalgono a Jacopo Sannazzaro e Pietro Antonio Caracciolo. I due drammaturghi, ebbero la volontà di portare il teatro anche tra i ceti popolari e per questo motivo cominciarono a ripudiare l’utilizzo di un linguaggio troppo forbito e incomprensibile al ceto basso. Da allora il teatro napoletano si arricchì di personaggi importanti rimasti indelebili nella tradizione. Verso la fine del Cinquecento, Silvio Fiorillo interpretò Pulcinella, la celebre maschera ancora oggi rappresentata nei teatri italiani, divenuta nell’immaginario collettivo, espressione di teatro popolare e della cultura napoletana.

Sulla fine dell’Ottocento, nacque un celebre personaggio del teatro napoletano: Eduardo Scarpetta. Egli si fece interprete dei cambiamenti dei gusti del pubblico napoletano: non utilizzò più le maschere ma cominciò ad impersonare la borghesia cittadina, calandosi nei panni di diversi personaggi, tra cui Felice Sosciammocca. Suo figlio, Eduardo De Filippo, alla morte del padre, riprese le sue commedie. Eduardo è stato l’esponente della massima espressione della lingua napoletana nel teatro. Superò il bipolarismo lingua-dialetto ancora vivo nel teatro italiano, facendo un uso diverso del napoletano. Lo trasformò in una lingua comprensibile, diventata poi la lingua della commedia e il punto di riferimento dei successivi e contemporanei drammaturghi campani.

L’italiano va bene per scrivere, dove non serve la voce, ma per raccontare un fatto ci vuole la lingua nostra che incolla bene la storia e la fa vedere. Il napoletano è romanzesco, fa spalancare le orecchie e pure gli occhi” – Erri De Luca.