Eduardo Scarpetta e la storica vittoria nella causa contro D’Annunzio e la Siae

Il 2 marzo 1904, al Teatro Lirico di Milano, viene rappresentata, per la prima volta, una tragedia in 3 atti di Gabriele D’Annunzio. Dal titolo ‘La figlia di Iorio’. Facendo un passo indietro nel tempo di neanche un mese, precisamente al 6 febbraio dello stesso anno, al Teatro Valle di Roma, veniva messa in scena ‘La geisha’, parodia di un’opera di Sidney Jones firmata da Eduardo Scarpetta.

Nelle parodie di Scarpetta presente anche un giovanissimo Eduardo De Filippo

In cui si ironizzava sull’ormai eccessivo gusto borghese per l’Oriente e tutto ciò che lo riguardasse. Come protagonista, un bravissimo Vincenzo Scarpetta, nel ruolo della geisha Mimosa-San. Ma va sottolineato come, in una scena del coro finale, apparisse un giovanissimo Eduardo De Filippo, che all’epoca aveva solo 4 anni.

Il successo ottenuto, portò Scarpetta a pensare di scrivere un’altra parodia, ovvero ‘Il figlio di Iorio’, che prendesse spunto proprio dall’opera di D’Annunzio, senza dubbio ritenuta eccessivamente drammatica. Per far ciò, la trama venne completamente stravolta. E, come il titolo lascia già presagire, tutti gli interpreti femminili divennero maschili e viceversa.

D’Annunzio negò il consenso per La figlia di Iorio con un telegramma

Dopo aver quasi del tutto allestito la parodia, Scarpetta si recò a Marina di Pisa da D’Annunzio per ottenere il suo consenso. L’incontro fu piacevole e divertente. Lo stesso “Vate” rise molto all’ascolto dell’opera, ma si sentì costretto a negare il sopracitato consenso, per paura di ripercussioni negative sulla sua rappresentazione. Il problema è che questo rifiuto arrivò solo tramite telegramma e quando era ormai troppo tardi per fermare tutto.

Fu così che, il 1 dicembre 1904, al Teatro Mercadante di Napoli, andò in scena ‘Il figlio di Iorio’. Inizialmente il pubblico sembrò anche gradire molto, sottolineando ciò con importanti risate e applausi. All’inizio del secondo atto, però, la situazione cambiò drasticamente. A causa, pare, di alcune persone in platea che, forse manovrati da qualcuno, in difesa dell’opera dannunziana cominciarono a creare confusione, fischiare e urlare. Costringendo Scarpetta, appena entrato in scena con abiti femminili, a far calare il sipario.

Al danno, si aggiunse anche la beffa, quando qualche giorno dopo venne querelato per plagio dalla Siae e per conto di Gabriele D’Annunzio, amministratore privato della stessa.

Al Tribunale di Napoli, Scarpetta si esibì come fosse a teatro

L’apice dello “scontro” avvenne al Tribunale di Napoli, durante un’udienza. Quando Scarpetta, neanche si fosse trovato al centro della scena di uno dei suoi spettacoli, tenne un dialogo con il Presidente, che avrebbe tranquillamente potuto mettere in uno di essi. Come riportarono gli stessi giornali dell’epoca.

«Scarpetta: Ecco, Signor Presidente , io non sono un oratore, farò del mio meglio…(ricominciando , con tono solenne) Signor Presidente, signori della Corte (scoppio di risa)
Presidente: Scarpetta, questa non è Corte, è Tribunale.
Scarpetta: me credevo che stevo facenno o’ terz’atto d’ O Scarfalietto…»

Abilmente mise in rilievo la spocchia del Vate quando raccontò del suo incontro con D’Annunzio:
«…gli feci scrivere dall’amico Gaetano Miranda, sollecitando il permesso. Ma non ebbi alcuna risposta. Mi si disse che il Poeta aveva l’abitudine di non rispondere a nessuno. Tante grazie!».
«Presidente: È vero che D’Annunzio vi promise una sua fotografia?
Scarpetta: Si, volle anche la mia, ma non mi mandò più la sua.»

Infine dopo aver recitato in tribunale alcuni versi de Il figlio di Iorio rivendicò orgogliosamente la sua autentica dignità di autore teatrale dialettale pari a quella di chi componeva opere in lingua letteraria e avanzava il sospetto che l’insuccesso della rappresentazione fosse stato preordinato:
«Era questa una parodia da meritare quei fischi della prima sera? Durante il baccano che si fece, ricordo che Ferdinando Russo gridò “Abbasso Scarpetta, Viva l’arte italiana”. Ma scrivo io, forse, per il teatro turco o cinese? Io non feci una contraffazione, ma una parodia.»

Quello tra D’Annunzio e Scarpetta fu il primo processo per diritto d’autore in Italia

La causa andò avanti fino al 1908 e si concluse con la piena assoluzione di Scarpetta, in quanto il fatto non costituiva reato. Sentenza fondamentale, nel primo processo per diritto d’autore in Italia, per legittimare tutte le parodie che successivamente avrebbero contraddistinto la storia dello spettacolo.

Anni dopo, come riporta il sito eduardoscarpetta.it, Gabriellino D’Annunzio, figlio del poeta, rivelò a Maria Scarpetta, figlia di Eduardo, che la vicenda fu incitata e sospinta da Marco Praga, fondatore della Siae, nella speranza di ottenere una sentenza di condanna con tutte le conseguenze morali ed economiche.