RECENSIONI – L’interpretazione de “Le cinque rose di Jennifer” messa in scena al Teatro Bellini ha profondamente toccato il pubblico presente.
Il copione, scritto nel 1980 da Annibale Ruccello, figura di spicco nel panorama teatrale italiano del secondo Novecento, rivela fin dall’inizio la sua acuta sensibilità. La trama, un atto unico magistralmente orchestrato, si dipana attraverso brevi scene che si sovrappongono, creando una tensione drammaturgica avvolgente.
Parte con una luce fioca che gradualmente svela due uomini vestiti di nero ed i loro volti profilati emergono dalla penombra, mentre l’illuminazione si estende, introducendoci nell’appartamento barocco e decadente di Jennifer, interpretato con vibrante passione da Daniele Russo. Il trans napoletano tenta, in mezzo al caos di oggetti sparsi e una routine caotica, di ordinare il suo mondo emotivo, imprigionato nell’attesa spasmodica di un uomo scomparso da mesi, la sua nuova fiamma.
L’attesa si trasforma in un crescendo esilarante e sfiancante, con il telefono che suona incessantemente, alimentando la speranza di una chiamata che si rivela sempre destinata a qualcun altro, amplificando il senso di isolamento di Jennifer.
Con l’inserimento di un secondo personaggio, Anna, interpretato da Sergio Del Prete, aggiunge un livello di complessità, rimanendo intrappolato nel vortice della psicosi collettiva. La regia di Gabriele Russo gioca abilmente con l’ambiguità della trama, introducendo un personaggio evanescente che agisce come specchio di Jennifer, senza alterare l’equilibrio della drammaturgia.
Il turbamento che pervade il pubblico alla fine dello spettacolo è palpabile, evidenziando la capacità di Annibale Ruccello, di farci riflettere sulla realtà nascosta che ognuno di noi porta con sé. “Le cinque rose di Jennifer” diventa così uno specchio della solitudine, della diversità e della fragilità insita in ognuno di noi, trascinandoci in un viaggio emotivo che va al di là delle convenzioni sociali.