INTERVISTA – Fabio Di Gesto, giovane ed intraprendente regista e drammaturgo classe ’93. Il suo nuovo spettacolo “E Ssanzare” sarà in scena, in debutto assoluto, nella sezione Osservatorio del Napoli Teatro Festival il prossimo sabato 18 luglio. L’opera, prodotta dalla compagnia RI.Te.Na, chiuderà la trilogia “della femminilità irrisolta” e sarà interpretata dagli attori Luca Lombardi, Francesca Morgante e Maria Claudia Pesapane. La storia, liberamente ispirata a “Il Malinteso” di Albert Camus, racconta le vicende di due donne che svolgono la professione di “ssanzare”, affittacamere per turisti in visita a Napoli.
Questa trilogia si definisce come un vero e proprio progetto di rilettura di grandi classici. Ci parli del lavoro di selezione dei testi e della tua opera di “traduzione” in chiave contemporanea?
Il nostro è stato un vero e proprio lavoro di selezione di testi classici di autori del ‘900. L’idea è stata quella di riscrivere, e partire, dalle trame drammatiche di quei testi per poter affrontare un universo talmente complesso quale appunto quello femminile, ed in particolare quelle situazioni in cui la femminilità non riesce a risolversi completamente. Il primo lavoro è stato “A Jetteca” ispirato a “Yerma” di Federico García Lorca, il secondo “E Cammarere” da “Le Serve” di Genet, per concludere con quest’ultimo attinto dal testo di Albert Camus. Tre penne completamente diverse mi hanno ispirato. Cosa c’è di contemporaneo? Sicuramente è stata l’occasione per esplorare, oltre il mondo femminile, anche quello della napoletanità. L’obiettivo è stato infatti quello di ritrovare figure che esistono ancora oggi nella tradizione popolare, come la cummara, la pacchiana, i femminelli e le voci del popolo. Io amo definirla contemporaneità sospesa. Si tratta di un qualcosa che richiama alla contemporaneità ma evidenzia fortemente le radici antiche che gli danno fondamento. Essenziale in quest’operazione è stata la lingua napoletana con la sua musicalità che riesce a sospendere effettivamente l’opera nel tempo.
Da dov’è nata l’idea di affrontare proprio il tema della femminilità?
Il bello delle idee è che vengono all’improvviso e se riesci a fermarle e dargli respiro poi quel che si avvera, se strutturato bene, ti restituisce sempre soddisfazione. Questa è arrivata durante una chiacchierata con il nostro costumista Rosario Martone. Lui è con noi fin dall’inizio, riconosco in lui una forte genialità, per me è magico e, lo ammetto con piacere, è spesso fonte di ispirazione. Sue sono le rappresentazioni grafiche delle nostre locandine, di cui sono molto orgoglioso. Proprio con lui riflettevo su quanto complessi fossero i personaggi di Lorca, ed il vero spunto è stata proprio l’impossibilità, in quel testo, di avere un figlio. Da lì si è prospettata l’idea del primo spettacolo in cui questa circostanza, nel tema della femminilità irrisolta, permetteva di analizzare l’essere donna in quanto madre. A seguire in “Le Cammarere” abbiamo declinato la manifestazione della femminilità, sfruttando la vicenda delle due ragazze sempre in confronto con la propria padrona, femminile al cento per cento. Siamo giunti infine all’ultimo in cui introduciamo lo stereotipo dell’uomo come completamento della donna in società.
Il Napoli Teatro Festival, fortemente voluto nonostante l’emergenza, ha portato con se nuove norme del fare teatro. Quanto hanno impattato sulla regia, e quanto, i tempi concitati, hanno impattato sulle vostre prove?
Per quanto riguarda le prove, noi siamo abituati a provare tantissimo, quasi ogni giorno, quindi effettivamente abbiamo avvertito l’impossibilità e la frenesia nell’avvicinarsi del debutto. Nell’ultimo periodo abbiamo intensificato molto le prove e la nostra fortuna, se possiamo chiamarla così, è stata che il nostro spettacolo fosse posto in programmazione a metà luglio concedendoci un po’ di tempo in più. E’stata invece una grande sfida quella di approcciarsi a questo modo nuovo di fare teatro, tra precovid e postcovid. Ovviamente è stato necessario un lavoro di adeguamento nella regia per riadattare il testo che era nato prima dell’emergenza, ed un notevole sforzo degli attori che devono riuscire a provare emozioni senza il contatto restituendone un immagine nonostante le distanze. Questa si può dire che per noi è stata l’effettiva grande sfida.
E’ stato coraggioso, da regista uomo, scegliere di affrontare il tema della femminilità.
Se inizialmente poteva prospettarsi come una sfida poi nel realizzarla mi sono reso conto di poter attingere alle figure a me più vicine. Io vivo in casa con nonna e zia e mi sono fortemente ispirato a loro. Per il personaggio interpretato da Maria Claudia, una vecchia di ottant’anni, ci siamo molto rifatti a mia nonna. E’ stato molto divertente osservare insieme video di mia nonna, cercando di riprodurre e ricreare quei movimenti e voce, l’osservazione nel lavoro di ricerca è fondamentale. Come Maria Claudia si è rifatta tantissimo a nonna, Francesca si è rifatta tanto a mia zia. In questo spettacolo rivedere quelle movenze o sentire alcune frasi, mi fa sentire molto a casa.
Possiamo anticipare qualcosa dei progetti futuri della compagnia RI.Te.Na.?
Per adesso ci dedichiamo ancora a promuovere questa trilogia. Per il futuro? Si sta valutando di muoversi verso nuove storie, in parte più leggere, e perché no? Magari dare spazio a figure maschili. Potrebbe essere lo spunto per una nuova trilogia (sorride).
Prossimi appuntamenti
E Ssanzare: 18 luglio Napoli Teatro Festival (17 luglio prova aperta)
E Cammarere: 24 luglio Palazzo Lancellotti Casalnuovo