Articolo presente nel numero Luglio 2020 di Napoli a Teatro
INTERVISTA – Corrado Ardone, attore in teatro, cinema e televisione, autore di libri, sceneggiatore e regista. Il suo spettacolo “Processo a Viviani” debutterà al Napoli Teatro Festival Italia, il 19 luglio nel cortile delle carrozze di Palazzo Reale. Ad interpretarlo gli attori Mario Aterrano, nel ruolo di Raffaele Viviani, e Massimo Peluso in quello del Giudice. L’arringa dell’autore, attraverso aneddoti di vita, confessioni e performance, metterà a nudo l’eccentrica personalità dell’artista, reo di raccontare le miserie, discreditando in quegli anni le politiche di governo fascista.
Qual è lo spunto che ha dato il via allo spettacolo?
L’idea dello spettacolo è nata un po’ di tempo fa, Mario Aterrano mi stimolò e mi chiese di iniziare a scrivere qualcosa su Viviani, subito iniziai delle ricerche sulla sua vita, che poi conoscevo perché da anni lo interpreto però non ne conoscevo alcuni dettagli. Quando scrivi qualcosa di storico e di realmente accaduto è sempre un po’ un territorio minato, si deve procedere con i piedi di piombo, è stata e lo è ancora una ricerca molto affascinante. Abbiamo anche coinvolto la ricercatrice Maria Emilia Nardo che ha scritto una biografia di Viviani, mi sono sentito in dovere di contattarla ed è stata preziosissima. Viviani fu boicottato dal sistema di regime dell’epoca e dal suo stesso pubblico, che era entrato ormai in una mentalità e cominciò a disertare i suoi spettacoli, costringendolo a fare l’attore di compagnia per dieci anni, dal ‘37 al ‘47, senza poter mettere in scena il suo teatro. Il più grande spunto però è stato il fatto che sia morto probabilmente di un cancro allo stomaco che spesso nascono da uno stato psicosomatico. Mi faceva pensare quindi che lui fosse morto, diciamo così, di collera. Mentre lui era impossibilitato, altri suoi contemporanei come Eduardo e Vittorio De Sica lavoravano a “Napoli Milionaria” e “Miracolo a Milano”. Da qui l’idea che la sua vita sia finita proprio con un rammarico.
Si può dire che è un processo immaginario che però vuole dare giustizia alla sua figura?
Sicuramente. In vita lui non ha mai avuto la possibilità di difendersi ed è stato in qualche modo condannato, costretto nella sua libertà d’espressione. Lui era dalla parte del popolo, ha imparato a scrivere da solo, ostinato più che mai, un autodidatta geniale che aveva nella mente musica come “Bammenella” e “La rumba degli scugnizzi”. Il problema della genialità, se lo si vuole chiamare così, è che spesso sono troppo precursori dei tempi e le loro intuizioni non sono valorizzate. L’idea che ci siamo fatti in compagnia è che lui era una persona che cercava semplicemente di mettere in scena quello che vedeva in strada, con la sua penna, riportandone vizi e virtù. Viviani ha quindi in quest’occasione la possibilità di rispondere al giudice che lo addita, con l’interpretazione di Mario Aterrano, che è un attore vivianeo da oltre vent’anni, sviscerando e raccontando la persona Viviani al di là dell’artista.
Rispetto al fatto che siete tutti e tre attori con grande conoscenza delle sue opere, questo vi ha aiutato nell’immedesimazione?
Mario Aterrano è nato e cresciuto sui Quartieri Spagnoli, Massimo Peluso è nato e cresciuto a Secondigliano, io invece sono nato e cresciuto nella Sanità. Sono tutte realtà, anche se in generazioni ed epoche diverse, che sono attinenti alla realtà di Viviani quindi in un certo qual modo l’abbiamo sentito molto vicino ed ha aiutato molto. Ci siamo dati del tu con Viviani, da subito, non per una mancanza di rispetto ma per sentirci più vicini.
Ha sicuramente valore il fatto che a volergli dare giustizia siano dei napoletani e che lo spunto non sia partito da altre città
C’è un testo poetico di Viviani, che citiamo nello spettacolo, “Campanilismo”, dove lui testualmente afferma che nelle altre città se qualcuno fa una cosa buona di sicuro viene acclamato e festeggiato, solo a Napoli quando un napoletano fa qualcosa ci sono alcuni napoletani che lo diminuiscono “e ched’è? ‘O saccio fa pur’io”, il napoletano lo riconosce ma non lo dimostra e in un altro punto dello stesso componimento afferma “S’’o vasa nsuonno e nun gli da sta gioia”, ed è vero. Il nostro obiettivo è stato proprio quello di riabilitarlo, ma in che senso? E’ già indiscusso il suo genio inimitabile ma la sua riabilitazione contiene un monito, abbiamo avuto dieci anni in meno della sua genialità per una disattenzione che si spera non avverrà con i prossimi geni, se arriveranno.
Sicuramente questo spettacolo è anche occasione per i più giovani, di sentirsi più vicini a Viviani.
La nostra è una battaglia che ci prenderà tutta una vita, noi abbiamo il compito di lasciare delle testimonianze alle nuove generazioni. Se oggi le “generazioni internet” non conoscono Eduardo De Filippo e non sanno chi è , questo è il vero dramma della morte del teatro. Il teatro è un’arte fondamentale perché insegna i sentimenti, questo non lo dico io ma Shakespeare, è una frase che ho sposato. La vita al giorno d’oggi così frenetica è più facile che riesca ad insegnare la violenza, la sfida e l’agonismo, me dove finisce allora il sentimento? Oggi dire ti voglio bene a una persona sembra quasi un atto di debolezza non sembra un atto di forza. La funzione del teatro e degli autori teatrali dovrebbe essere questa, e secondo me il teatro dovrebbero insegnarlo anche a scuola.