Massimo Troisi era affascinato già da adolescente dall’arte, tanto da scrivere poesie e dedicarsi poi al teatro. Giovanissimo, vinse un premio locale di poesia ispirata alla figura di Pier Paolo Pasolini, uno degli autori che più apprezzava allora.

Gli esordi di Massimo Troisi in teatro a 15 anni con  Lello Arena

I suoi esordi avvengono nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant’Anna, ad appena 15 anni, mentre frequentava l’istituto tecnico per geometri. Fu proprio allora che conobbe l’amico di sempre, nonché spalla storica, Lello Arena. E sebbene si ritenesse troppo timido per recitare, una volta su quel palco, tutto cambiava, finendo, addirittura, per sentirsi fin da subito a proprio agio.

Nel febbraio del 1970 Troisi, assieme a Costantino Punzo, Peppe Borrelli e Lello Arena, mise in scena una farsa di Antonio Petito, ’E spirete dint’ ‘a casa ‘e Pulcinella. Petito, uno degli ultimi grandi Pulcinella napoletani, affascinava molto i ragazzi. E in particolare Massimo, che nella celebre maschera intravedeva una forza nuova, nascosta.

“Ho cominciato a scrivere io” raccontò Troisi. “Già scrivevo poesie, ma solo per me, poi ho cominciato a buttar giù canovacci e tra parentesi mettevo ‘lazzi’, quando si poteva lasciar andare la fantasia. A me divertiva proprio uscire coi ‘lazzi’, improvvisare, per poi tornare al copione. Era il momento del teatro alternativo d’avanguardia e tutti volevano usare Pulcinella. Rivalutarlo. C’era Pulcinella-operaio, e cose del genere. A me questa figura pareva proprio stanca. Pensavo che bisognasse essere napoletano, ma senza maschera, mantenere la forza di Pulcinella. L’imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide”.

Massimo Troisi e una visione diversa della maschera di Pulcinella

Troisi cominciò a vestire i panni di Pulcinella in spettacoli domenicali. Ma, deciso a staccarsi dal canovaccio secentesco per entrare negli schemi d’intrattenimento della comicità moderna, si decise a portare in scena il proprio materiale.

Il primo impatto con un mondo più professionistico avvenne con la creazione del centro sperimentale “t-minuscolo”, frequentato da giovani attori alle loro prime esperienze. Il centro era vicino ai primi movimenti di sinistra degli anni ’70. Sbocco successivo, dal punto di vista artistico quanto politico, il “Centro Teatro Spazio”, situato in via San Giorgio Vecchio 27. Centro di ormai chiaro e maggiore impegno politico di militanti di sinistra. Gli stessi testi erano orientati sulla politica, sul Papa, su Andreotti.

Il centro divenne comunque un punto di ritrovo importante per tutti gli abitanti del quartiere, compresi i bambini, felici di assistere allo spettacolo delle marionette la domenica mattina. I costumi erano molto semplici. Non era raro vedere Troisi in scena indossando solo una calzamaglia nera. E gli attori a volte non erano neanche pagati, recitando solo trascinati dalla loro passione. Al massimo poteva capitare, come raccontato dagli stessi anni a seguire, che qualcuno volesse regalargli beni primari. Una volta persino un maiale.

Dagli Rh-Negativo a I Saraceni fino alla nascita de La Smorfia

Arrivò lo spettacolo “Crocifissioni d’oggi”, in cui Troisi si firmò – insieme con Peppe Borrelli – per la prima volta come autore e regista. Raccontando delle lotte operaie, di ragazze madri, di emigrazione e di aborto. E successivamente “Si chiama Stellina”, commedia brillante in due atti dello stesso Massimo. E qui comincia a cambiare qualcosa. A partire dal nome del gruppo, ormai noto come “Rh-Negativo”.

Sono tanti i teatri che girano, dall’attuale Bruttini a Port’Alba, fino al Sancarluccio. Per recitare qui, fondamentale fu l’aiuto di Enzo Decaro, che ormai faceva parte del gruppo e che grazie alla conoscenza di Lucia Cassini dei “Cabarinieri”, che lavoravano stabilmente lì, riuscì a farli inserire nel programma. Anche se, come spesso accade nella vita, un colpo di fortuna spinse ancora di più la loro buona stella. Siamo nel 1977 e il gruppo (rinominato I saraceni e nel quale erano rimasti, oltre a Troisi, solo Arena e Decaro) per un improvviso forfait di Leopoldo Mastelloni si ritrovò catapultato in scena. Lo spettacolo ottenne un grandissimo successo, specialmente tra il pubblico giovanile

Il nome la Smorfia fu dato al gruppo da Pina Cipriani, direttrice del Sancarluccio. Che alla domanda: “Ma come vi chiamate?” ricevette, per l’appunto, in risposta da Massimo una smorfia. Richiamando in questo modo una delle principali tradizioni napoletane.  L’interpretazione dei sogni e la risoluzione di questi in numeri da giocare al lotto. La cosa risultò talmente simpatica che, anche per scaramanzia, i tre adottarono questo appellativo.