“Ho cominciato la carriera proprio imitando quel comico. Perciò non ho frequentato nessuna accademia, nessuna scuola mi ha avuto come discepolo. D’altra parte sarei stato un cattivo scolaro: ho sempre amato crearmi le ‘mosse’ da me. Lo so che dico due cose che sembrano contrarie tra loro. Ma ai capocomici io dovevo presentarmi con qualcosa che già in partenza piacesse al pubblico. E il pubblico allora amava De Marco: col ripetere o imitare un suo numero, il successo era assicurato: quale giovane attore non imita, nei primi suoi anni di attività, questo o quell’altro suo collega che più gli piace? Tutto consiste nel non restare ancorati all’imitazione. Ed io volli e seppi uscire dalla imitazione di De Marco e costruire un ‘tipo’ di comico che col passare del tempo divenne solo mio e che servì al pubblico per identificarmi”.
Queste parole, già di per sé testimoni di grande stima, vengono impresse per sempre, se si pensa che a pronunciarle è il grande Totò. L’artista che ancora oggi viene imitato al cinema quanto in teatro. Si perché, sebbene il Principe della risata abbia trovato il suo successo sul grande schermo, non va mai dimenticato che i suoi esordi avvengono sul palcoscenico. E proprio imitando Gustavo De Marco.
La comicità di Gustavo De Marco ha ispirato Totò e non solo
Può essere considerato come il comico più famoso della scena napoletana del periodo, anche grazie al fenomeno delle periodiche (riunioni in case private a scopo d’intrattenimento), con una comicità legata ad una particolare mimica del corpo, all’arte dei doppi sensi e ad alcune macchiette (come “il bel Ciccillo”) poi rese famosissime nei decenni a venire dai suoi epigoni, su tutti Totò e Nino Taranto. Da quanto si racconta, fu concepito nei camerini del Teatro San Ferdinando dai genitori, entrambi attori, Rodolfo De Marco e Letizia Crispo. E la sua stessa nascita avvenne, nel 1883, durante l’intervallo de I due sergenti, opera francese di A. Maillard e B. Daubigny.
Per comprendere meglio il suo modo di stare in scena, ci affidiamo al ricordo di Peppino De Filippo. “Veniva definito una marionetta vivente. Ad un certo punto del suo spettacolo pareva che si snodasse nelle ossa e nelle membra, fino ad assumere atteggiamenti «marionettistici», così paradossali da suscitare nel pubblico i più clamorosi consensi. Ad un determinato momento della sua esibizione, quando il ritmo si faceva più frenetico che mai, qualcuno dalla platea o dal loggione, gli gridava: «Asso ‘e spade…» (asso di spade). Bene, De Marco si fermava di colpo in tutta la persona assumendo improvvisamente, per quanto possibile, la figura geometrica della carta « asso di spade » che fa parte del «mazzo» di carte da gioco napoletane. Progressivamente, poi, si metteva a girare su se stesso fino a raggiungere un ritmo vertiginoso, tanto da sembrare una trottola”.
Gustavo De Marco veniva definito una marionetta vivente
Tutte caratteristiche, che riportano alla mente proprio le immagini di Totò, sia in teatro che al cinema (come in ‘Totò a colori’). E lui stesso ricorda così De Marco: “Il suo caratteristico modo di recitare consisteva in varie macchiette presentate secondo la moda del tempo. Ma, dove eccelleva e trascinava il pubblico al delirio, era nei finali delle sue macchiette. Essi erano costituiti da danze sincronizzate da gesti del corpo e da mosse e smorfie del viso al ritmo di piatti e grancassa, con una perfezione tale da eccitare l’invidia e l’ammirazione di un acrobata di professione”.
E proprio un giovanissimo, allora 14enne, Totò, assistette a uno spettacolo di De Marco, restandone estasiato. Tanto da, come ebbe modo lui stesso di raccontare, imitarne i gesti e le movenze, una volta tornato a casa, nella sua camera. Per poi riproporlo in teatro, proprio utilizzando il nome di De Marco stesso con un piccolo stratagemma. Testimonianza di ciò ci viene data sempre da Peppino De Filippo. “Il mio primo incontro con Totò risale nientemeno che al 1918 o ’19. Fui attratto da un manifesto che diceva così: Questa sera (a caratteri grandi) il comm. Gustavo De Marco (e sotto, a caratteri piccolissimi) imitato da Totò”.