L’ispettore generale al Teatro Bellini: una farsa grottesca tra inganni e corruzione

RECENSIONE – Dal 18 al 23 febbraio il Teatro Bellini di Napoli ospita L’ispettore generale, capolavoro satirico di Nikolaj Gogol’ messo in scena con la regia di Leo Muscato. Scritto nel 1836, il testo prende di mira il potere e la corruzione nell’impero zarista, con un’ironia che resta sorprendentemente attuale.

La vicenda si svolge in una cittadina sperduta, dove un gruppo di amministratori inetti si allarma all’arrivo di un ispettore da San Pietroburgo. Nel tentativo di salvarsi, il Podestà e i suoi collaboratori cercano di occultare le proprie malefatte e ingraziarsi il misterioso funzionario. Peccato che il giovane viaggiatore che scambiano per l’ispettore sia in realtà un imbroglione squattrinato, pronto ad approfittare della situazione.

Muscato ambienta la storia in un inverno perenne, con scenografie di Andrea Belli dominate dalla neve e un’atmosfera ovattata che rende il luogo quasi astratto. I costumi di Margherita Baldoni, con colbacchi e pesanti pellicce, evocano un mondo zarista senza tempo, mentre le luci di Alessandro Verazzi e le musiche di Andrea Chenna accentuano il contrasto tra realtà e allucinazione.

Il tono oscilla tra il grottesco e la commedia nera. Muscato valorizza la componente farsesca, soprattutto nelle scene in cui i cittadini cercano di corrompere il falso ispettore. Il ritmo serrato unisce le dinamiche della commedia dell’arte alla critica sociale, restituendo un ritratto amaro della corruzione come sistema di governo.

Rocco Papaleo interpreta un Podestà meschino e cinico, mentre Daniele Marmi dà vita a un Chlestakov spavaldo e opportunista, capace di manipolare con leggerezza. Attorno a loro, un cast affiatato costruisce un mondo in cui nessuno è innocente.

Questa versione di L’ispettore generale non si limita a riproporre un classico, ma ne esalta l’attualità, mettendo in luce il legame tra la satira di Gogol’ e le contraddizioni della società contemporanea. Uno spettacolo che diverte e inquieta, lasciando la sensazione che certe dinamiche del potere non siano mai davvero cambiate.