RECENSIONE – Con One song – Historie(s) du Théâtre IV, il Teatro Bellini si preparara a chiudere la stagione teatrale di quest’anno.
L’esibizione si inserisce temporalmente al quarto step nelle “Historie(s) du Théâtre”, letteralmente Storia(e) del Teatro, un progetto che con NTGent il regista Milo Rau ha commissionato in primis a se stesso e nelle fasi successive a Faustin Linyekula, Angélica Liddell ed infine a Miet Warlop.
Dal 28 maggio al 2 giugno, l’opera coinvolgerà in maniera esplosiva il pubblico il quale, al termine della rappresentazione, ha necessità di tempo per consapevolizzare se ha appena assistito ad un concerto, ad uno spettacolo di danza o ad una manifestazione sportiva per quanto il tutto sia ben amalgamato.
Un’unica canzone, ONE SONG, è eseguita a oltranza durante tutti i 60 minuti della messa in scena con una eccezionale maestria sia mentale che fisica da parte della compagnia composta da Simon Beeckaert, Elisabeth Klinck, Willem Lenaerts, Milan Schudel, Melvin Slabbinck, Joppe Tanghe, Karin Tanghe, Wietse Tanghe, Imran Alam, Stanislas Bruynseels, Judith Engelen e Flora Van Canneyt.
Il New York Times lo ha definito “rumoroso, assurdo e incredibilmente divertente” ed effettivamente One Song è tutto questo ma anche tanto altro. Si rimane a bocca aperta per quanto il tutto avvenga in maniera rapida, coinvolgente, caotica, sembra di essere proiettati in un’altra dimensione, quasi surreale.
L’unico elemento che scandisce i tempi e che, transitoriamente, ci riporta con i piedi per terra è un metronomo che viene gestito alternativamente dagli attori. L’intento del regista è stato quello di creare un senso di unione e ci è riuscito perfettamente: ci si sente parte integrante di una comunità che, attraverso lo sforzo fisico che traspare apertamente agli occhi del pubblico e la tenacia con cui tiene il palco, vive in maniera totalizzante un vero e proprio cerimoniale sulla vita e sulla morte.