L’attesissimo Pinter Party al Teatro di Napoli

Pinter Party_phNoceraIvan__Nella foto da sx Ivana Maione, Gennaro Di Biase

RECENSIONE – È tempo di Pinter Party, tra i debutti più attesi della stagione teatrale 2023/2024 del Teatro San Ferdinando di Napoli, in scena dall’11 aprile fino a domenica 21 aprile. Lo spettacolo, un progetto ideato, diretto e interpretato da Lino Musella e prodotto da Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, si struttura con tre testi del drammaturgo, regista, scrittore, attore inglese Harold Pinter, tra i quali “Il bicchiere della staffa” (1984), “Il linguaggio della montagna” (1988) e “Party time” (1991), intervallati al discorso dell’autore al conferimento del Premio Nobel per la letteratura nel 2005.

Ad oggi, la pièce prevede la partecipazione attoriale di Paolo Mazzarelli (compagno di scena di Musella in Brevi interviste con uomini schifosi sullo stesso palco), Betti Pedrazzi, Totò Onnis, Eva Cambiale, Gennaro Di Biase, Dario Iubatti, Ivana Maione, Dalal Suleiman e, in video, Matteo Bugno, le scene di Paola Castrignanò, i costumi di Aurora Damanti, le musiche originali e il disegno sonoro di Luca Canciello, il disegno luci di Pietro Sperduti, i video di Matteo Delbò e, infine, ma non certo per importanza, la coreografia di Nyko Piscopo.

-Di recuperi fatti con intelligenza: Harold Pinter, un drammaturgo attuale-

Lino Musella ha un dono, fra i tanti: fermo, lì al centro del palco, con il suo corpo presente ed elegante riempie la scena; mentre con la sua voce a tratti strascicata che prolunga un po’ le sillabe, certamente molto caratterizzante, fa risuonare con delicatezza e sapiente maestria la cassa armonica del teatro. Con questi presupposti si penserebbe a Pinter Party come a un successo in partenza garantito, eppure non è poi così scontato. Nel momento in cui si tocca il recupero di una personalità teatrale molto ampia e fondamentale come quella di Harold Pinter, si potrebbe inciampare nel rischio di una banale adulazione nonché di una vuota riproduzione secondo l’idea che essendo un classico parli già di per sé. Ma non è così semplice, un classico perché parli va interrogato a fondo ed è per questo che Lino Musella riesce nel suo progetto: si appassiona, chiede, ricerca, focalizza un obiettivo, lo potenzia e lo centra. Lo si è visto anche con “Tavola tavola, chiodo chiodo…” nella ricostruzione di Eduardo De Filippo e lo si vede anche ora con l’autore britannico, non a caso nuovamente al Teatro San Ferdinando.

Non a caso perché se con “Tavola tavola, chiodo chiodo…” Lino Musella riprende le parole di Eduardo De Filippo, «Tutto ha inizio sempre da uno stimolo emotivo: reazione a un’ingiustizia, sdegno per l’ipocrisia mia ed altrui, solidarietà e simpatia umana per una persona o un gruppo di persone, ribellione contro leggi superate e anacronistiche con il mondo di oggi, sgomento di fronte a fatti che, come le guerre, sconvolgono la vita dei popoli», rivelando l’impegno umanamente politico del drammaturgo partenopeo, con “Pinter Party” coniuga lo stesso interesse ricostruendo e riconoscendo l’impegno tanto teatrale quanto civile di Harold Pinter. Ed a questo punto, si verifica un ulteriore atto umanamente politico: viaggiando tra i tre testi dell’artista britannico e le parole proferite al discorso sovversivo per il Premio Nobel, Lino Musella leva in tutta la sua forza la voce contro la politica degli oppressori.

Pinter Party di Lino Musella, dunque, crea ambiguità nei rapporti tra i personaggi, tensioni costanti in cui la platea si identifica ogni volta sia con gli oppressori sia con gli oppressi, ambivalenze per le quali vero e falso limano i propri confini fino a sembrare indistinguibili. Eppure, una verità c’è: è quella che, in quanto cittadino, si ha il dovere di coscienza di guardare e, in quanto artisti, di darle voce, la verità degli oppressi.