“Via Senzamore 23”: fa breccia il monologo del Nest sulla mancanza d’amore

RECENSIONE – Ho sempre associato nella mia mente il Nest (Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio) con l’idea di nido (significato in italiano dall’inglese dell’acronimo). Un ambiente di calore in cui nascono belle cose e fino ad ora non mi ha mai deluso. In scena al Teatro Sannazaro, lo scorso 9 febbraio, è andata in scena la prima dello spettacolo “Via Senzamore 23”, da loro prodotto insieme a Caracò. Se cercate uno spettacolo che vi faccia sorridere e allo stesso tempo riesca a smuovere le più profonde trame dell’anima, è quello giusto.

Il testo è stato scritto dallo scrittore Gianni Solla, anche presente in sala. La sua è una narrativa molto ironica, sagace e al contempo pratica. Il monologo, portato in scena dall’attore Giuseppe Gaudino, si presenta molto dinamico e piacevolissimo da seguire, bravissimo nel ritmo e nell’intensità. Sentire la mancanza del personaggio alla chiusura dello spettacolo è il chiaro segnale che parole, recitazione e regia (quest’ultima di Giuseppe Miale di Mauro) sono riuscite nella simbiosi.

La storia è spunto di tanti interrogativi. Il protagonista è Gaetano, uomo che vive da solo in un appartamento al Vomero, quartiere che viene descritto con molto sarcasmo, in quei connotati che rendono i suoi abitanti, dal suo punto di vista, per lui distanti e con cui non vi è piacevole interazione. Non ha scelto lui la sua casa, in cui vive per eredità dei suoi nonni. Come neanche il suo lavoro di impiegato comunale al catasto, al quale accede inserito in una categoria fragile, in quanto orfano di genitori in tenera età. Una cosa però l’ha scelta, Marianna Gargiulo. Lo decide proprio alle elementari. [Io debole e indifeso, affido la mia vita nelle mani di Marianna, così che sarà lei la responsabile della vita di me stesso].

Possono gli esseri umani vivere senza amore? La solitudine di Gaetano è tangibile, e lo spettatore segue la sua storia mentre lui è alla scrivania con un microfono, intento nella registrazione di un podcast. Ogni tratto ci permette di conoscerlo meglio. Descrive, ad un certo punto, anche la parentesi di sei mesi in cui ha frequentato gli alcolisti anonimi, confidando che non fosse per uso di alcool ma per il trascinante affetto che riescono a dimostrare, il che è molto tenero. È spiazzante scoprirlo così spigliato ed ironico e saperlo così solo. Diverse sono le telefonate con il suo collega e amico Ciro Acampora, tanto divertenti negli scambi. La leggerezza che fa sorridere è la stessa che ti spezza il fiato quando diventa malinconica. Il suo analista lo definisce un paziente atipico e, nel mentre della narrazione, si affacciano tic nevrotici e barlumi folli che rendono chiara, allo spettatore, la presenza di cicatrici invisibili. Solla nelle note dichiara: «L’ho immaginato come l’ultimo essere umano rimasto sulla Terra e dal suo racconto è possibile mappare ogni singolo uomo che abbia camminato su questa terra perché tutti i disperati si assomigliano».

L’amore rende deboli? Tutta la sua vita è scandita dagli incontri con Marianna. Il suo bisogno d’amore la eleva a bussola per la sua vita. E scoprire che, agli occhi della ragazza, lui sia invisibile, lo porterà a volerle smuovere la terra sotto ai piedi. Senza costruire nessuna fondamenta per lei che, emblematicamente, vive in Via Senzamore. La storia d’amore si trasforma esattamente nel suo contrario.  Quanto può impattare la vita di una persona su quella di un altro? Nel bene e nel male, tantissimo. Non solo Marianna si era impressa nel suo animo, ma ancor più i genitori, persi in circostanze drammatiche.

Quella che si pensava essere la registrazione di un podcast, in una giornata come un’altra, si rivela essere la sua memoria prima della sua uscita di scena. La scenografia, soprattutto sul finale, si dimostra essere molto eloquente, firmata da Rosita Vallefuoco. L’utilizzo delle luci assiste molto bene l’attore in scena, nel disegno luci firmato da Desideria Angeloni.