RECENSIONE – Può una lezione essere fatale? Nel paradosso di “La lezione” di Ionesco, diretta da Antonio Calenda, si. Lo spettacolo è stato presentato al Teatro Sannazaro lo scorso 2 febbraio, con plauso di pubblico.
Eugène Ionesco è stato un drammaturgo nato in Romania nel 1909 e morto in Francia nel 1994, tra i maggiori esponenti del Teatro dell’Assurdo. Nel 1951, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne presentata a teatro la sua “Leçon”, un dramma comico (come lui stesso lo definì in “Notes e Contronotes”) dove paradossi, ripetizioni e non-sense vogliono trascinare lo spettatore in una totale distorsione della verità.
La trama è immediata, ma la direzione che prende totalmente stravolta. Un giorno bussa alla porta dell’appartamento di un noto professore, una ragazza, per presentarsi a lui come allieva nella preparazione dell’esame di Libera Docenza Totale (per tutte le materie). La fa accomodare la governante che la introduce nello studio. Tra il professore e l’allieva vengono scambiati gentilissimi iniziali convenevoli, l’allieva è molto responsiva e segue il professore in tutte le sue iniziali richieste che vogliono vagliare la sua preparazione. Le cose cambiano quando il professore verifica la mancanza di preparazione dell’allieva nelle più basilari nozioni, ed il suo atteggiamento nei suoi confronti diviene irruento e distante. Tanto più lui è distante, tanto più lei si annichilisce in un malessere diffuso e, in un culmine di follia delirante fatto di frasi ripetute ossessivamente e molto complesse, in un’incomunicabilità che rende sorda lei alle prevaricazioni di lui ed in cui i fonemi diventano minacce e violenza, lui la violenta e la uccide. Per poi occultare il corpo insieme alla governante. L’insegnamento viene rappresentato da Ionesco come strumento di potere e violenza esercitata sulla ragazza, che trova il culmine nel suo omicidio.
Tante sono le cose assurde che si sommano in questa costruzione. In primis gli oggetti immateriali, i fiammiferi di cui parlano per fare le addizioni, la lavagna e i gessetti che usano per le moltiplicazioni, come anche la corda che infine usa per legarla o il coltello che usa per ucciderla. Si aggiungono, come elementi dell’assurdo, gli argomenti scelti dal professore per la sua lezione, aritmetica e filologia, che hanno intrinseca una natura molto razionale e precisa e che invece nel loro confronto diviene totalmente irrazionale.
[PROFESSORE: Sette più uno? ALLIEVA: Otto. PROFESSORE: Sette più uno? ALLIEVA: Otto bis. PROFESSORE: Eccellente risposta. Sette più uno? ALLIEVA: Otto ter. PROFESSORE: Stupendamente. Brava. Sette più uno? ALLIEVA: Otto quater. E talvolta nove.]
La ricerca del significato autentico, che sarebbe caratteristica di una lezione di filologia, è totalmente capovolta. I discorsi fanno giri larghissimi per poi tornare al punto di partenza e finire come sono iniziati. Lo stesso professore ad un tratto afferma che le parole, composte da suoni, “sono capaci di librarsi a considerevoli altezze aeree. Cadono soltanto le parole soggette ad un significato, appesantite dal loro senso, le quali finiscono sempre per cadere nelle orecchie dei sordi”. Ma soprattutto quel che rende del tutto assurda la lezione consiste nella mediocrità intellettuale della ragazza che invece vuole aspirare al dottorato e nell’assoluta vaghezza degli insegnamenti del notissimo professore. In questa storia l’allieva è la speranza, ed il vecchio professore rappresenta la figura pessimistica che vuole annientarla. La governante che assiste, rassicura e anche perdona, è testimone carnefice e complice della deriva violenta della civiltà.
Antonio Calenda è tra i più prolifici registi teatrali contemporanei. La scelta di Nando Paone e delle sue capacità mimiche (che il pubblico ha potuto apprezzare anche in altri spettacoli come “La Grande Magia”) è perfetta per la resa. In scena insieme a lui le attrici Daniela Giovanetti (l’allieva) e Valeria Almerighi (la governante), convincenti nella parte. La scena, firmata da Paola Castrignanò, è composta di grandi armadi di legno imponenti ed un baule posto su un lato opposto rispetto a quello della scrivania e delle sedie. Questi due armadi solo più tardi si riveleranno essere nascondigli di malefici e insanguinati segreti. Da questi la governante, per occultare il cadavere, preleverà una grande bandiera con la svastica nazista che celerà il corpo per nasconderlo nell’armadio. La denuncia politica del nazismo viene adoperata come simbolo universale di violenza autoritaria che proprio partendo dalla parola giustificò i crimini più efferati.
Purtroppo, così come i loro discorsi fanno giri lunghi per poi tornare all’inizio, anche lo spettacolo ha nella fine una sua circolarità. Dopo aver occultato il cadavere, si sente di nuovo suonare il campanello e dopo una macabra danza di governante e professore, tutto ricomincia. Una nuova allieva è giunta e quella appena occultata era solo la quarantesima. Non si lascia quindi intravedere la possibilità di cambiamento, la storia è pronta a ripetersi.
Lo spettacolo è una coproduzione tra Tradizione e Turismo Centro Di Produzione Teatrale del Teatro Sannazaro, Teatro Stabile Del Friuli Venezia Giulia, Accademia Perduta Romagna Teatri e Fattore K. L’aiuto regia è Alessandro Di Murro, i costumi sono firmati da Giulia Barcaroli, le musiche da Germano Mazzocchetti e il disegno luci è di Luigi Della Monica.