Al Teatro Nuovo l’arte della coreografa ed ex ballerina classica Silvia Gribaudi in scena con “Graces”

NAPOLI – Al Teatro Nuovo, dall’ 11 al 14 gennaio, inaugurerà il nuovo anno l’arte della coreografa ed ex ballerina classica Silvia Gribaudi scivola leggera tra danza, teatro e circo in Graces di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti, spettacolo ispirato alle tre Grazie di Antonio Canova.

Un susseguirsi di danza, tableaux vivants e scene comiche, che coinvolge, ogni momento, lo spettatore in un elogio dell’imperfezione e dell’individualità.

L’allestimento, presentato da Zebra in co-produzione con Santarcangelo dei Teatri, disegna un incontro tra corpi, senza ruoli di genere, per danzare al ritmo stesso della natura.

I quattro artisti in scena, Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo e la stessa Silvia Gribaudi, portano il risultato di anni di esplorazione degli stereotipi di genere, identità maschili e femminili, che va ben oltre la danza, per aprirsi anche alle altre arti performative e mettere in scena un corpo libero.

Con la danza contemporanea si può seriamente scherzare su tutto quanto si vuol prendere di mira, e Silvia Gribaudi è dotata di ironia, autoironia e sarcasmo per trattare abilmente, con mano leggera e forte, le tante contraddizioni sul tema bifronte della “bellezza della bruttezza” e della bruttezza della bellezza”, che appassiona la nostra società occidentale, globale e social-mediatizzata.

«Il mio percorso – sottolinea la Gribaudi – si muove sul confine permeabile tra pubblico e performer, indagando lo spazio fertile e sottile tra il ridere e il dissacrare, tra poetica e politica. È una ricerca che avviene all’interno del corpo che danza, incontra temi sociali e si compone nell’opera coreografica».

Usa l’umorismo per destrutturare il pregiudizio e indagare le deviazioni da un modello riconosciuto, alla costante scoperta di un clown fallibile e rivoluzionario, che osi attraversare la vertigine poetica dell’imperfezione per arrivare, suo malgrado, a creare scintille di bellezza e grazia.

I quattro interpreti cercano nuovi significati della parola ‘grazia’ con la danza e la parola, ma soprattutto con calore e leggerezza, rivelando, in scena, una parte fondamentale della nostra umanità, e riflettendo sull’impatto sociale del corpo che vuole essere libero di esprimersi, a prescindere dalla forma, e dal genere.

Graces è un inno all’accettazione di sé e al credere nelle proprie potenzialità, senza curarsi dei canoni dominanti, evidenziando, tra ripensamenti premeditati, autoironiche celebrazioni, intermezzi lirici e spiazzanti sospensioni, la lampante consapevolezza che “bello è il luogo su cui si posa lo sguardo”

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