INTERVISTA – Sergio Del Prete, classe 86. Attore di teatro, cinema e televisione. Lo abbiamo visto negli ultimi anni a teatro particolarmente in due produzioni del Bellini di Napoli “Fronte del Porto”, diretto da Alessandro Gassman, e “Le cinque rose di Jennifer” scritto da Ruccello nell’adattamento di Gabriele Russo con Daniele Russo. Ha presentato, la scorsa estate al Campania Teatro Festival, in debutto nazionale il suo spettacolo “Sconosciuto. In attesa di rinascita”, monologo da lui scritto, diretto ed interpretato. Abbiamo chiacchierato con lui dello spettacolo e non solo, in vista del ritorno in scena, in queste vesti, al Teatro Civico14 i prossimi 26 e 27 febbraio. In una stanza mentale piena di specchi, il nostro protagonista si interroga sull’esistenza e la direzione da prendere, e muta in attesa di rinascita.
Lo spettacolo pone al pubblico numerose domande ed offre diversi spunti di riflessione. Quanto è stato intenzionale?
E’ stato molto voluto e questa sensazione è stata ricercata anche in un precedente spettacolo, che ho fatto insieme a Roberto Solofria proprio al Teatro Civico14, intitolato “Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori”. In entrambi ho cercato di costruire delle dinamiche molto essenziali, molto neutre, proprio per permettere a chi guarda di avere una propria idea. Credo che in scena non si debba sempre spiegare tutto, non lo si deve confondere il pubblico ma neanche trasmettergli uno specifico parere. Mi sento di offrire la possibilità, a chi mi sta di fronte, di renderlo partecipe. Il rito teatrale non riguarda assolutamente solo chi sta sul palco. Io personalmente considero questo spettacolo come un giro di boa della mia vita personale e professionale. E’ uno spettacolo molto intimo, molto personale, non sarei stato in grado di scriverlo ed offrirlo otto anni fa ma neanche cinque. Partendo dal fatto che io non sono un drammaturgo ma sono principalmente un attore. Questo testo nasce proprio da un’esigenza di condivisione. Il coraggio lo ritrovo nel presupposto che non esiste un solo spettacolo al mondo che può piacere a tutti. Quindi mi metto l’anima in pace. Spero che abbia una sua vita perché credo sia uno spettacolo onesto. Non posso esprimermi sul fatto che sia bello o brutto perché questo lo decide chi guarda.
Tu sei Dottore in Scienze della Comunicazione, credi ti abbia aiutato nei meccanismi di dialogo con il pubblico?
Sono molto onesto, diciamo che proprio gli anni in cui studiavo all’Università erano quelli in cui io avrei tanto voluto fare l’Accademia. Scelsi questa facoltà perché la ritrovai affine al mio animo. Io credo che questi studi mi abbiano aiutato molto sul lato lavorativo piuttosto che sull’aspetto artistico in sé. Presentai la mia tesi in Organizzazione di eventi teatrali, scegliendo, nell’atto pratico, un argomento per me di interesse, e descrissi tutto quello che avviene dietro le quinte per diversi aspetti, delineando un binario parallelo a quello artistico, di fatto complementare. La comunicazione è molto importante, specialmente adesso che occorre riavvicinare il pubblico. Un pubblico che è cambiato perché ha fruito di un intrattenimento che lo ha immobilizzato davanti a uno schermo per due anni, con la possibilità di distrarsi o mettere in pausa. Adesso il teatro deve presentare qualcosa che televisione e cinema non possono offrire e deve offrire qualità, lasciando al pubblico la possibilità di decidere quale qualità gli piace di più.
Rispetto alla qualità, credi che i teatranti siano consapevoli della qualità che offrono?
Mi fa sorridere questa domanda perché ripenso ad una conversazione che ho avuto proprio ieri con il ragazzo che ha curato le scenografie di questo spettacolo, Carmine De Mizio. Pensavamo a quanto sarebbe bello se esistesse la possibilità per i teatranti di assistere agli spettacoli nei teatri gratuitamente o a costo ridotto. Loro non sarebbero semplici spettatori ma osservatori tecnici di diversi aspetti importanti nella pratica dello spettacolo. Avere i teatranti in platea vorrebbe dire avere un dibattito, un confronto, colleghi che si conoscono davvero nei lavori che fanno. Lo status dell’attore e dei tecnici sarebbe arricchito da questa pratica, che li porterebbe a vivere intensamente il teatro, in scena o in platea. Potrebbe nascere un movimento artistico da questa condivisione, risvegliando tutti da un torpore culturale dilagante. Ognuno chiuso in sè stesso e non arricchito da quello che fiorisce in altri giorni di programmazione.
Un po’ come accadeva nei salotti culturali del XVIII-XIX secolo?
Per com’è adesso la situazione, andrebbe bene anche una panchina. E’ possibile che proprio quei salotti siano stati artefici della disgregazione attuale, perché ne esisteva sempre uno migliore di un altro ed era sempre il Padrone di casa che decideva chi invitare. La panchina invece è accessibile a tutti.
Quali sono gli elementi che ti hanno influenzato nella scrittura di questo testo?
Io sono un maniaco di Pino Daniele, lui affermava che l’importante in ogni cosa è che ci sia sentimento ed io anche in questo progetto l’ho tenuto sempre a mente. Sento che mi ha molto influenzato la scrittura di Peppe Lanzetta, negli anni mi sono molto appassionato ai suoi libri. Ha stimolato in me la possibilità di essere onesto e di avere un linguaggio sincero, quotidiano. Oltre questo, ci intravedo comunque le mie letture di Moscato e Ruccello e poi molto del mio percorso formativo, la consapevolezza del palco che mi ha trasmesso Ernesto Lama che ho incontrato nel 2014 e con il quale ho un rapporto di amicizia molto stretto. Come anche l’incontro con Mimmo Borrelli che è stato breve ma molto intenso. Ho imparato nel tempo che fare le cose semplici può rivelarsi una cosa molto difficile.
Nel titolo ci sono tre parole “Sconosciuto”, “Attesa” e “Rinascita”, potresti commentarmele nella loro correlazione al testo?
Nel titolo sono strutturate in due frasi, Sconosciuto, punto, In attesa di rinascita. Io ho voluto ricordare al pubblico che siamo noi i primi sconosciuti. Arriviamo ad un punto della nostra vita, quando ci arriviamo, che ci guardiamo allo specchio e ci chiediamo “Ma oggi io chi sono?”. Se solo pensi che esistono dei momenti di transizione in cui manco ti guardi allo specchio. Io mi sono trovato in questa fase di passaggio, in questo momento delicato di vita tra i 30 e i 35 anni, tra la giovinezza e la parte adulta. Quel limbo che ti crea solo confusione e ti fa nascere tante domande. Inizi a guardare tanto al passato e al futuro mentre prima esisteva solo il presente. La paura del futuro, ti rende uno sconosciuto rispetto al te stesso del passato ed è un continuo rincorrersi e centrarsi. Il fatto che questo Sconosciuto sia in attesa di rinascita attiene proprio a questo, simbolicamente, c’è il nascere di nuovo, iniziare qualcosa di nuovo per rendere tangibile quel futuro inafferrabile nella confusione.
Assistiamo al racconto di uno sconosciuto a degli sconosciuti. Centrale il suo rapporto con Marta, una sconosciuta con cui lui ricerca intimità.
A volte, soprattutto nei rapporti sentimentali, di famiglia o di amicizia, dopo tanti anni di condivisione bisognerebbe trattarsi da sconosciuti. Abbiamo più paura dei giudizi di chi ci conosce che di chi non ci conosce. Marta è una massaggiatrice, una prostituta, ho scelto questa figura perché volevo che fosse borderline nella società. Spesso queste donne si nascondono, vivono una doppia vita. Lei è di sprono al protagonista nel vivere più intensamente l’esistenza, rivoluzionare la sua vita. Lei ha delle giornate pessime però ha i suoi figli che sono sempre una boccata d’aria fresca da respirare. Al tormento di lui, lei risponde con la convinzione che esiste sempre qualcosa che ti può portare serenità, un po’ di pace. Allo stesso modo Marta è una via d’uscita da quel torpore e deserto che è la periferia in cui vive.
E’ molto enfatizzata nel testo la cornice della periferia.
Esattamente, la periferia come la terra in cui quest’uomo è cresciuto, le sue radici. Spesso ho voluto intendere la Provincia non per la sua concezione fisica ma per quelle dinamiche provinciali che, in modo assoluto, esistono ovunque, anche nei salotti o in case a picco sul mare, che sono di fondamentale chiusura ideologica. Svelando tutti quei limiti che lo hanno portato ad avere difficoltà in amore e difficoltà di comunicazione con i propri genitori. Questi atteggiamenti li ritroviamo in una provincia sperduta nella periferia come nelle zone bene della città.
Scene, Luci, Musica e Costumi. Tutte collaborazioni con giovani talenti.
Anche se si tratta di un monologo, è stato un lavoro di squadra davvero intenso. Prima di tutto ho voluto con me, assistente alla regia, una persona che è per me come un fratello, Raffaele Ausiello che mi ha aiutato tantissimo a sviluppare le idee. Ho voluto poi coinvolgere in questo progetto, dei ragazzi che personalmente ritengo geniali. Un musicista fantastico, Francesco Santagata, con il quale ho già lavorato in passato, che è un polipo nell’atto pratico, quando fa musica sembra abbia dieci braccia e una testa. Carmine De Mizio, che ho già citato prima, che ha avuto le idee sia per la scenografia che per il disegno luci. Io gli ho trasmesso le mie intenzioni e da questo scambio siamo giunti alla realizzazione di una scena geniale nella sua eloquenza. Infine, i costumi di Rosario Martone che è un grande e non ha nemmeno trent’anni. Un caso ha voluto che tutti noi eravamo della provincia e della periferia quindi oltretutto ci siamo ritrovati tantissimo nel testo.
Ti pongo ultime due domande che sono un po’ di consuetudine nelle chiacchierate di Napoli a Teatro. La prima, cosa diresti ad un giovane che si trova adesso agli esordi?
Penso che mi farei dire qualcosa io da lui, davvero. Credo che l’attuale generazione degli attori tra i 18 e i 24 siano molto più intelligenti di noi, per “noi” intendo una fascia di età tra i 30 e i 35 anni. Hanno molta più scioltezza nello scegliere, senza farsi tanti problemi, che magari io mi sono posto. Hanno molte più possibilità, non gli riesce difficile guardare in alto. Scegliere di andare a studiare a Milano, ad esempio, non gli comporta eccessiva ansia. L’approccio a questo tipo di pensieri è molto più libero. Riesce a loro automatico chiedersi “Dove posso farlo? Allora vado”. Impensabile 15 anni fa. Se proprio dovessi dirgli qualcosa, sarebbe proprio in riferimento a questa facilità di scelta che non deve essere assolutamente veloce. I frutti devono maturare e si deve avere rispetto per la natura delle cose. Le scelte non sono facili ma, soprattutto, non lo è il loro sviluppo. In ultimo, lo confermo, ascolterei molto loro (come accade anche adesso).
In chiusura, quand’è che hai capito che il teatro ci sarebbe sempre stato nella tua vita?
Il mio primo approccio al teatro fu alle scuole superiori, partecipai a un laboratorio teatrale e lo seguii con interesse, ma è solo quando feci il primo spettacolo che ebbi marginale cognizione di quello che stava accadendo. Mi sono accorto d’un tratto che esistevo, quell’esperienza mi ha dato la possibilità di pensare, in un contesto di provincia diciamo non proprio proiettata verso l’arte, “Io sono qualcosa”. Se dovessi individuare il primo momento che ne ebbi intuizione sarebbe quello però se poi ti dovessi individuare quello in cui l’ho capito allora ti direi che è stato quando mi sono accorto che non volevo fare più altro. Questa scelta non è stata facile perché la famiglia non era proprio contentissima, soprattutto mio padre, carrozziere adesso in pensione, che riponeva in me molte speranze essendo ultimo di quattro figli. I genitori vorrebbero vederti con sicurezze diverse. Mia madre al contrario l’ha accettato abbastanza tranquillamente. Li comprendo, già era nell’aria di casa la musica di mio fratello (che mi ha anche un po’ iniziato ad una sensibilità artistica), dopo il musicista poi arriva l’attore, ovviamente si sono irrigiditi. Ancora adesso mio padre ogni tanto mi invita a considerare alcune proposte ma la mia scelta è fatta e anche loro oramai ne sono consapevoli. Ritornando al discorso di prima ad un giovane esordiente, questo è un mondo particolare, può accadere tutto subito o arrivare dopo quarant’anni che fai questo lavoro. L’importante è giungere a una consapevolezza che ti porta a comprendere chi sei teatralmente e umanamente, e percorrere questo cammino credendoci sempre.
Anche perché, a volte “Bisognerebbe avere il coraggio dei ragazzi che si lanciano dagli scogli per tuffarsi ed essere accolti”. In fondo è ciò che desideriamo tutti nella vita: essere accolti (Sconosciuto. In attesa di rinascita).
Per informazioni circa prenotazioni e biglietti è possibile contattare il Teatro al numero 0823441399.