In prima nazionale al Napoli Teatro Festival Italia, Alessandro Preziosi è il protagonista di “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” un testo di Stefano Massini per la regia di Alessandro Maggi. Con le scene ed i costumi di Marta Crisolini Malatesta, il disegno luci di Valerio Tiberi, Andrea Burgaretta e le musiche di Giacomo Vezzani, lo spettacolo (un coproduzione tra Khora.teatro, Teatro Stabile D’Abruzzo, Napoli Teatro Festival Italia in collaborazione con Festival di Spoleto 60) è di scena al Cortile d’Onore di Palazzo Reale, martedì 27 (alle ore 21, replica mercoledì 28). La scena si apre sulle austere e slavate pareti di una stanza del manicomio di Saint Paul e subito viene da chiedersi come possa vivere un grande pittore in un luogo dove non c’è altro colore che il bianco. È il 1889 e l’unico desiderio di Van Gogh è uscire da quelle mura. La sua prima speranza è riposta nell’inaspettata visita del fratello Theo che ha dovuto prendere quattro treni e persino un carretto per andarlo a trovare. Attraverso l’imprevedibile metafora del temporaneo isolamento in manicomio di Vincent Van Gogh (Alessandro Preziosi), lo spettacolo realizza una sorta di thriller psicologico attorno al tema della creatività artistica.

Il testo di Stefano Massini vincitore del Premio Tondelli – Riccione Teatro 2004 per la  “…scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, capace di restituire il tormento dei personaggi con feroce immediatezza espressiva”, con la sua drammaturgia asciutta e ricca di spunti poetici, offre considerevoli opportunità di riflessione sul rapporto tra le arti e sul ruolo dell’artista nella società contemporanea.  Sospensione, labilità, confine. La scrittura di Massini, limpida, squisitamente intrinseca e tagliente, nella sua galoppante tensione narrativa, offre evidentemente la possibilità di una vera e propria indagine in quei luoghi, accidentati e mobili, soggetti interni di difficile identificazione, collocati nel complesso meccanismo della mente umana. Il serrato dialogo, sottinteso, tra Van Gogh e suo fratello Theo, propone non soltanto un oggettivo grandangolo sulla vicenda umana dell’artista, ma piuttosto ne rivela uno stadio sommerso.

“Van Gogh – sottolinea Alessandro Preziosi – assoggettato e fortuitamente piegato dalla sua stessa dinamica cerebrale si lascia vivere già presente al suo disturbo. È nella stanza di un manicomio che ci appare. Nella devastante neutralità di un vuoto”. E dunque, è nel dato di fatto che si rivela e si indaga la sua disperazione. Il suo ragionato tentativo di sfuggire all’immutabilità del tempo, all’assenza di colore alla quale è costretto, a quello strepito perenne di cui è vittima cosciente, all’interno come all’esterno del granitico “castello bianco” e soprattutto al costante dubbio sull’esatta collocazione e consistenza della realtà. La tangente che segue la messinscena resta dunque sospesa tra il senso del reale e il suo esatto opposto. In una spaccatura in cui domina la sola logica della sinestesia, nella quale ogni senso è plausibilmente contenitore di sensi altri, modulandone infinite variabili, Van Gogh è significante e significato di se stesso. Lo scarto emotivo che subisce e da cui è irrimediabilmente dipendente, rappresenta causa ed effetto della sua stessa creazione artistica, non più dissociata dalla singolarità della sua esistenza e lo obbliga a percorrere un sentiero isolato in cui il solo punto fermo resta la plausibilità di una infinita serie di universi possibili nei quali ogni tangibilità può rappresentare il contrario di ciò che è.