La memoria è un viaggio nel tempo. Passato, presente e futuro succedono simultaneamente in spazi temporali paralleli. Immagini, voci, suoni e oggetti che restano del passato, appartengono al presente e prefigurano il futuro o, forse, del futuro non sono altro che una rimanenza obsoleta che scivola lentamente, in una sorta di ritorno inverso, nell’oblio. Ma quale futuro? Un futuro ipotetico e quindi inafferrabile laddove, in un mondo la cui velocità aumenta per certi aspetti in maniera esponenziale, ogni ipotesi nasce spacciata, già superata. Un mondo in cui follia e poesia sono presupposto e conseguenza, orientano scelte e comportamenti, sono innesco e catalizzatore, intessendo un dialogo tanto serrato da non poterle più distinguere. Ma follia e poesia sono, apparentemente, prerogative umane. L’ingegno dell’uomo, nella realizzazione della sua potente visione, ha partorito le macchine e le ha perfezionate a tal punto da creare una pericolosa relazione con esse. Cosa resta di umanità laddove la macchina sembra aver preso il sopravvento. Può la macchina provare nostalgia dell’umano? Ma, soprattutto, può la macchina essere capace di follia? E di poesia? Piccoli set cinematografici popolati da pupazzi realizzati artigianalmente e automi animati attraverso rudimentali procedimenti elettro meccanici, resti sparsi di giocattoli parlanti, meccanismi di risulta i cui movimenti sono reinventati per produrre suono e senso, vecchi registratori a nastro, megafoni, carillon, proiezioni di video, ombre e film in Super8, animazioni realizzate attraverso sofisticate tecniche digitali, telecamere che in tempo reale raccontano animando e piccole fonti luminose interattive controllate tramite DMX o Arduino rappresentano i “personaggi”, la cui orchestrazione di voci e azioni innesca e sostiene la narrazione che si articola su diversi livelli sensoriali.