Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro in scena al Teatro Piccolo Bellini

NAPOLI – Un ronzio avvolge la scena, le luci ancora basse. “Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro” si apre con una scala che emerge lateralmente, su cui si staglia una figura vestita da apicoltore. Al centro, pannelli gialli si svelano progressivamente, componendo un fondale mutevole da cui gli attori emergono e si muovono per dare forma allo spazio scenico. Fin dall’inizio, il colpo d’occhio è forte: i toni caldi del miele, le strutture esagonali, il mondo delle api che avvolge e definisce il protagonista, Ferdi (Luca Mammoli).

Ferdi ci guida nel racconto rompendo la quarta parete, conducendoci nel microcosmo della sua famiglia. Sua moglie Marta (Serena De Siena) ha un obiettivo: avvicinare l’attrice Chiara Velati (Silvia Valsesia), madre di una compagna di scuola della figlia Emma. Il pretesto? Un compleanno, un invito da non lasciarsi sfuggire. Chiara appare in scena in una posizione di dominio, dall’alto della scala, con capelli rigidamente raccolti e un atteggiamento distaccato. Il confronto tra le due donne è un duello scandito da battute rapide e contrasti evidenti, nelle parole e nei gesti. La distanza sociale e culturale si riflette nei costumi: l’eleganza studiata contro la semplicità curata, il fascino patinato contro la concretezza del quotidiano. E poi ci sono gli occhiali scuri di Chiara, accessorio e simbolo insieme, il segno tangibile di una storia personale trasformata in narrazione pubblica.

Quando l’attrice accetta l’invito, lo spazio cambia ancora. I pannelli si muovono, le dinamiche si fanno più frenetiche: tutto dev’essere perfetto, ogni dettaglio curato per rispondere alle regole della visibilità. Ma l’imprevisto è dietro l’angolo: Carlo (Tomas Leardini), cognato di Marta, personaggio eccentrico e fuori dagli schemi, viene incaricato di guidare la conversazione nella direzione giusta. Il suo compito? Suggerire, con apparente leggerezza, un possibile sostegno da parte di Chiara al talento pittorico della piccola Blu. Ma Carlo non comprende le dinamiche di questa mediazione sociale, e il discorso devia verso domande ben più ampie: che cosa distingue l’arte dalla semplice tecnica? Quale valore ha la creatività in un mondo ossessionato dall’esposizione mediatica? Nessuna risposta definitiva, solo il rifugio rassicurante della logica degli scacchi, dove ogni gerarchia è stabilita con precisione matematica.

L’arrivo di Chiara trasforma ancora la scena: gli spazi si restringono, le distanze si accorciano, le uscite si chiudono. Gli attori si muovono tra cambi continui, talvolta eccessivi, quasi a voler sovraccaricare lo spettatore di stimoli visivi. Il gioco delle api, ripreso in molteplici dettagli scenografici, finisce per diventare più estetica che funzione. Più efficaci, invece, i suoni fuori campo, le risate, le voci assenti delle bambine, che fungono da catalizzatore per il vero scontro in atto: il successo e l’invisibilità, la ribalta e l’ombra, il desiderio di emergere e il peso di farcela davvero.

Il climax arriva con una serie di situazioni grottesche ed equivoci brillanti, dove Carlo si conferma motore comico e Marta si fa carico della tensione drammatica. La rivelazione finale, fuori scena, colpisce come un colpo di coda inaspettato: Emma ha distrutto le opere, coprendole di giallo. Ma non c’è spazio per il fallimento, solo per la narrazione: la famiglia trasforma il gesto in performance art, e il mercato premia l’ennesima storia ben confezionata.

Si chiude in un crescendo surreale: musica alta, corpi che si spogliano fino alla biancheria, luci che ricordano i flash dei paparazzi. Poi una voce, distorta, annuncia il suicidio di Emma. O forse è solo un messaggio costruito ad arte, l’ennesima trovata per alimentare il circolo vizioso della fama. Perché alla fine, in questo gioco di specchi, la domanda rimane sospesa: l’arte appartiene a chi la crea o a chi la consuma?