INTERVISTA – Un grande quesito si pone a fondamento di un interessante progetto che abbiamo deciso di approfondire: può la lirica, nel 2025, essere contemporanea? Abbiamo incontrato i fondatori della compagnia “Movin’Op – Opera in Movimento”, i tre cantanti lirici Francesca Triburzi, Valentina Bilancione e Dario Russo che con la loro professionalità hanno deciso di raccontare il vivere e i problemi del nostro tempo, con gli strumenti della lirica. Abbiamo conversato con loro in collegamento da tre diverse città: Francesca da Bergamo, Dario da Torino e Valentina da Napoli. Hanno debuttato a gennaio con il loro spettacolo “Winterreise” al Teatro Tram, con grande plauso di pubblico. Ma per comprendere il loro progetto dobbiamo partire dalla sua genesi.
Parliamo di come tutto ebbe inizio? Da dove è partita la scintilla?
Francesca Triburzi – Tutti e tre siamo professionisti della lirica. Dario l’ho conosciuto a teatro, mentre Valentina l’abbiamo conosciuta tramite un amico pianista che ce l’ha presentata. L’idea è partita durante la pandemia, nel periodo di fermo, è nato questo desiderio di costruire qualcosa di nostro e indipendente, a prescindere dalle fondazioni lirico-sinfoniche e dalle agenzie che ci rappresentano. Sentivamo forte la sensazione di voler esprimere un tipo di teatro più povero e spogliato dalle meravigliose scenografie, dai costumi sfarzosi, dall’orchestra e dal coro. Un teatro nudo. Il nostro progetto voleva partire dal basso, tornare all’essenza del teatro, un po’ come succede nelle compagnie di teatro di prosa o in quelle di danza, i cui componenti si incontrano e fanno ricerca insieme per costruire i loro spettacoli. Per la preparazione dello spettacolo “Winterreise” siamo stati ospitati in una dimora d’artista ad Erice in Sicilia, per poterlo creare e fare le prove. Il nostro teatro vuole essere un po’ underground, che riesca ad arrivare ad un pubblico diverso da quello che viviamo nel nostro lavoro. Al Teatro Tram è stato un esperimento riuscitissimo e siamo contenti che il debutto sia stato a Napoli, per la sua intrinseca storia di culla per arte, musica e teatro.
Valentina Bilancione – Francesca è la matta, in senso positivo, che ha chiamato tutti durante la pandemia. Lei era infiammata dal desiderio di creare questo progetto. Ci ha sedotti al telefono e la sua chiamata è stata come una voce nel deserto. Tutto era chiuso e spento, quello è stato un periodo molto doloroso per gli artisti. Ma ha costretto tutti a fermarsi, offrendo l’occasione di porsi alcune domande. Cos’è l’artista oggi? Che cosa vuole dire l’artista oggi? Nel caso della lirica, l’ambiente per quanto meraviglioso, si è un po’ cristallizzato, almeno nei contenuti, che non riescono a fare riferimento al vivere quotidiano. Si scrive sempre meno e si rappresenta ancora meno. Noi come artisti cosa vogliamo dire? Nelle fondazioni è difficile riuscire a dire qualcosa di totalmente personale. Fra i desideri di questa nostra compagnia c’è l’idea di mettere in piedi delle cose completamente inedite, elaborate da noi. Abbiamo voglia di lasciare un’impronta ancora più decisa, a livello di scrittura. Raccontare qualcosa di contemporaneo, di persone vive e vegete che stanno in mezzo alla gente, che si rendono conto delle cose che accadono.
Giungiamo quindi al vostro spettacolo “Winterreise”. Come mai avete scelto quest’opera e quali sono gli elementi di contemporaneità?
Dario Russo – Winterreise (Viaggio d’inverno) è un ciclo di ventiquattro Lieder composti da Franz Schubert nel 1827 su testi di Wilhelm Müller. (Con il nome “Lied romantico” si intende oggi un genere di canzone d’arte, generalmente per voce sola e pianoforte, in lingua tedesca). Io l’ho trovata molto contemporanea perché parla di un uomo e dell’elaborazione del lutto di una storia d’amore finita. La musica in quest’opera è potentissima, e diventa tutta la parte non detta, la parte legata all’emotività, alla psiche, all’inconscio del personaggio. A me sembra che oggi abbiamo sempre meno mezzi per guardarci dentro ed elaborare le frustrazioni. E questo si lega alle grandi problematiche di oggi, il femminicidio ad esempio ed altre manifestazioni più o meno violente, derivano dall’incapacità dell’essere umano di elaborare le proprie frustrazioni, di elaborare i propri lutti. E questo spesso comporta che, anziché viaggiare nel proprio inverno, ci si ritrovi ad aggredire l’altro. E’ stato un bel lavoro di squadra, sono state essenziali le collaborazioni con la regista Maria Paola Viano e con Giovanna Fiorentini per i costumi, e l’esecuzione musicale di Carlo Martiniello al pianoforte.
Nel ciclo di Schubert i personaggi vengono solo evocati dal canto di un solo esecutore. Nella vostra versione invece l’opera diviene corale, divenendo presenze partorite dai ricordi, dagli incubi e dalle emozioni del protagonista. Vogliamo conoscere meglio i vostri personaggi?
Francesca Triburzi – Dario rappresentava il viaggiatore, Valentina la fanciulla di cui il viaggiatore è innamorato ed io la madre cattiva, cinica e anche un po’ rappresentativa di una natura violenta. Che, dal suo punto di vista, è andata contro questo amore.
Valentina Bilancione – Le nostre figure sono archetipi. La fanciulla è un personaggio un po’ evanescente, piangente, ripete come in un loop, alcuni gesti che si ripetono sempre uguali come fosse un’ossessione di questo viandante. Idealizzata. Lei vestita di bianco, lontana ed eterea. Pallida in volto, che si confonde con lo scenario innevato. Il drappo bianco si confonde con il suo abito. Noi siamo la lettura del suo viaggio interiore.
Dario Russo – Il viandante è l’unico personaggio reale tra questi fantasmi. Quando sembra che il viandante vaga e basta, invece l’opera ci fa comprendere che questo viaggio potrebbe avere una meta.
Quali sono le vostre sensazioni rispetto alla distribuzione di questo spettacolo?
Valentina Bilancione – Il Teatro Tram è stato molto accogliente, ha accettato il rischio dicendoci che voleva sperimentare insieme a noi la reazione del pubblico. È stata un’isola in uno scenario abbastanza diffidente. Vero che, essendo noi in una fase sperimentale, non esiste ancora un linguaggio e una comunicazione che riesco a descriverci senza vederci in scena. In Italia siamo gli unici con un progetto del genere.
Dario Russo – È vero che il mondo della lirica si è tenuto distante e si è un po’ arroccato, ma dall’altro lato c’è un muro di grande sfiducia. Non abbiamo trovato grande disponibilità e apertura da parte dei teatri, nell’accogliere il nostro progetto. Anche solo nell’ascoltarci, darci possibilità di audizione o di invio della nostra video proposta. Appena il teatro di prosa sente “canto classico” o “canto lirico”, si innesca una preclusione. Bisognerebbe fare un appello rispetto a questo loro atteggiamento prevenuto.
Oltre alla distribuzione di “Winterreise”, cosa possiamo anticipare sui progetti futuri?
Francesca Triburzi – Parallelamente stiamo già lavorando anche ad un altro progetto. Sarà dedicato alle guerre nel mondo, abbiamo scelto di attingere alla musica di Vivaldi, riarrangiata e rielaborata con dei jazzisti. Lo “Stabat Mater” di Vivaldi racconta del dolore di Maria nel guardare il Cristo morto. Togliendo ogni riferimento religioso, vogliamo mettere in risalto il dolore di madri, padri, fratelli e sorelle, che perdono qualcuno a causa di altri esseri umani.
Mi ha fatto molto sorridere il vostro logo.
Francesca Triburzi – Lo ha disegnato un nostro amico Alfredo Guglielmino, un artista di Catania che ha una Bottega che si chiama “Cartura”. Lui è un artigiano della carta e del disegno. Gli abbiamo chiesto di ideare un logo che potesse evidenziare l’eleganza della lirica, dell’opera, del teatro, ma in modo che questa serietà fosse anche in stretto connubio con il gioco, la libertà e il divertimento. Ed ha creato questa elegante donna in movimento, che potrebbe definirsi quasi funambolica. Ci ritroviamo molto.