RECENSIONI – Al Teatro Bellini, “Orpheus Groove” di Annalisa D’Amato, che ha curato anche drammaturgia e musiche insieme a Elvira Bonocore e Antonin Stahly, esplora il concetto di musica come ricerca dell’armonia universale, una risposta al disagio esistenziale.
Variazioni, visioni e vibrazioni si alzano dal palco, portandoci in un viaggio immaginativo che inizia in un laboratorio scientifico alla Doc di “Ritorno al futuro”, per poi passare a una navicella spaziale che esplora l’ignoto, fino a un palcoscenico itinerante che cattura l’attenzione di un pubblico variegato, scettico e diffidente.
Il progetto di Orpheus Shivandrin e del suo team mira a riarmonizzare la Terra e gli esseri umani, risvegliandoli da un torpore che minaccia di farli sprofondare nell’oblio.
Lo spettacolo colpisce per la sua innovazione, creando un linguaggio che scuote chi è perso nel caos della vita, offrendo un nuovo modo di percepire il mondo attraverso suoni, colori e intensità. La ricerca è paragonabile a quella di scienziati che analizzano il passato per migliorare il futuro, cercando di curare il malessere esistenziale attraverso arte e musica.
“Music is the cure” ci invita a trovare nel rumore la melodia, nell’armonia una cura che ci riconnette con noi stessi, portandoci a ballare, gridare, piangere o ridere. Orpheus Groove è un’armonia di diversità sul palco, dove gli esperimenti rischiano di rimanere inconclusi senza la “paziente”, Stefania Remino, che incarna il nostro bisogno di cambiamento e guarigione.
Gli attori – Andrea de Goyzueta, Juliette Jouan, Savino Paparella, Antonin Stahly – incarnano scienziati eccentrici, ognuno con la propria visione, ma uniti nel tentativo di comprendere e curare attraverso la loro sperimentazione.
Questo viaggio nelle profondità della nostra perdita di senso culmina in un ritorno alla vita, non diversa ma più in sintonia con le nostre vibrazioni, armonizzata dal nucleo verso i margini.