RECENSIONE – Certe volte si ha la fortuna di assistere a spettacoli, già di per sé straordinari, allestiti in contesti ancor più incantevoli. È stato il caso dello spettacolo “Moby Dick: l’incantatrice” (produzione Baba Yaga Teatro) proposto durante la rassegna “AntroFestival”, organizzata al Castello di Baia in scena il 31 agosto. La possibilità di viverlo in una serata di fine estate, sulla terrazza di un castello aragonese, sotto un cielo trapuntato di stelle e la brezza del mare, ha valorizzato lo spettacolo rendendolo un’esperienza intensa e memorabile.
Meravigliosa la voce narrante di Rosalba Di Girolamo, magistrale nell’interpretazione e nella conduzione del pubblico, tra le parole del capolavoro di Melville (1851). Accompagnata dalla colonna sonora di Marco Messina e la fisarmonica di Rocco Zaccagnino, in un flusso ininterrotto di musica e parole incastrate alla perfezione. Gli stridii dei gabbiani e l’ondeggiare del mare hanno collocato gli spettatori proprio a bordo della baleniera Pequod e ad accoglierli, l’unica voce femminile tra le sette interpretate dalla Di Girolamo, quella della balena bianca, Moby Dick: «Vuoi imbarcarti su questa nave, marinaio? E sul contratto si parlava della tua anima?». La passione della Di Girolamo per le parole pronunciate è palpabile, la si avverte perfettamente nell’intenzione, in un flusso che parte proprio da lei, e frutto di un approfondimento tale, che è riuscita a portarla molto oltre Melville.
La storia la rinverdiamo. Il protagonista, e principale narratore, è Ishmael, un ragazzo che decide, nella Manhattan del 1830, di imbarcarsi in un’avventura di caccia alla balena. Sull’isola di Nantucket il suo destino si incrocia con quello della baleniera Pequod, capitanata da Achab con una ciurma di “uomini in fuga”. Le balene erano cacciate per l’olio, preziosa risorsa usata per l’illuminazione del tempo, ma subito è palesata una secondaria missione, dettata dal capitano, di trovarne una tra tante, Moby Dick la balena bianca, un capodoglio che, tempo addietro, lo aveva privato di un arto infuocandolo di una furiosa vendetta. Ne è ossessionato, quel capodoglio incarna tutti i mali del mondo, tutte le fatalità di destino e natura, il tempo, le solitudini e disillusioni, in un delirio che è di implacabile follia: «la follia non è buona né cattiva, è solo cieca».
Sette, le voci, i punti di vista e le personalità incarnate straordinariamente dall’attrice: il capitano Achab, il primo ufficiale Starbuck, Stubb, Flask, Queepueg, Pip e, appunto, il nuovo arrivato, Ishmael. Tutta la ciurma vorrebbe avvistare quella balena per vincere il doblone d’oro incastonato, come premio, nell’albero maestro dal capitano. Ma cosa è per loro quella balena? Inorriditi a tratti dal delirio di Achab, quasi non vorrebbero mai vederla. E scorgono cosi l’orizzonte di quell’enorme distesa d’acqua, in superficie tranquilla mentre al di sotto, in modo truculento, vige la regola del “pesce grande mangia pesce piccolo”, senza pausa. «Chi ha messo dentro il mare le sue creature perché si divorassero a vicenda? Ma è un giorno tranquillo ed il cielo è dolcissimo».
A centro palco è posta una grande scala, l’albero maestro, dal quale sventola un drappo rosso sangue, come un cuore in fuga. Una balaustra sulla parte anteriore del palco diviene la prua ed una zona più intima, con poltrona e lampada sulla sinistra del palco, si sostanzia nella cabina del capitano. Siamo sulla nave e Rosalba Di Girolamo indossa un fulgido soprabito bianco. La pericolosità e la fatalità dell’impresa è nelle parole del primo ufficiale Starbuck, che cerca di far ragionare il capitano: «Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei. Capitano, non ci trascini tutti nella sua infelicità, Achab si guardi da Achab. Guardati da te stesso, vecchio!»
Perché definire Moby Dick proprio incantatrice? Parliamo di un essere che si è mosso tra le fondamenta del mondo, tra ancore e speranze, e si sostanzia come ineluttabile natura nel confronto con l’uomo. «Solo specchiarsi nei suoi occhi farebbe disintegrare i pianeti». La produzione di Baba Yaga Teatro, nella chiusura, decide di andare oltre Melville, risalendo alla sua fonte di ispirazione e consegnando agli spettatori ulteriore spunto di riflessione. Ad introdurla, le parole della balena: «Uomini così piccoli, eppure così implacabili». La storia vera, anche Melville non ha voluto raccontarla fino alla fine, romanzando la chiusura drammatica in un abbraccio. Nel novembre del 1820 la baleniera statunitense Essex si trovava al largo nell’Oceano Pacifico inseguendo un banco di capodogli, che in quel periodo erano nella stagione degli amori. Il capitano li raggiunse e fece calare le lance per attaccarli. Quattro giorni dopo, in un momento di calma, un capodoglio si schiantò contro la Essex, per poi colpirla di nuovo fino ad affondarla. I naufraghi, per sopravvivenza, prima si spinsero al cannibalismo dei compagni morti e poi tirarono a sorte per mangiarsi tra di loro. I sopravvissuti, recuperati dal naufragio, divennero folli o non vollero mai più navigare. Dopo essere stati negli abissi, non riuscirono più a stare in superficie.