NAPOLI – Al Teatro Bellini, dal 14 al 26 maggio, in scena “Il caso Jekyll” tratto da Robert Louis Stevenson adattamento Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini, regia Sergio Rubini; con Sergio Rubini e Daniele Russo e con Geno Diana, Roberto Salemi, Angelo Zampieri, Alessia Santalucia.
Il nostro Henry Jekyll è uno stimato e blasonato studioso della mente vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, proprio nello stesso periodo in cui nasce e si sviluppala psicanalisi. Dopo un’affannosa e solitaria ricerca sui disturbi psichici dei propri pazienti, il grande luminare è approdato all’individuazione delle cause della malattia mentale: all’origine di quei disturbi vi è il conflitto tra l’Io e la sua parte oscura, la sua Ombra, quella battezzata in quegli anni con il nome di Inconscio. Secondo gli approdi scientifici del dottor Jekyll, l’Io anziché reprimere questa parte, che se troppo compressa improvvisamente potrebbe emergere in tutta la sua violenza fino a sfociare talvolta nella follia, deve imparare a riconoscerla e a stabilire con essa un rapporto, un dialogo costruttivo. L’Ombra, infatti, non è costituita solo da istinti e desideri inconfessabili, ma è anche e soprattutto fonte di creatività e di piacere, oltre a rappresentarci per ciò che siamo veramente, nel profondo. Il dottor Jekyll decide così di sperimentare su se stesso le sue teorie tirando fuori dalla caverna del conscio ciò che è a lui stesso nascosto, a cui dà il nome di Edward Hyde. Ciò che il dottore non mette in conto è che una volta liberato quel suo famigliare oscuro, questi, anziché soggiacere alle regole del dialogo impostate dalla sua parte razionale, inizia progressivamente a vivere di vita propria dando libero sfogo alle sue inclinazioni più malvagie e violente fino a prendere il sopravvento sull’intera vita dell’esimio scienziato. A cadere vittima di Edward Hyde, oltre a tutte le figure chiave della vita del medico, ignare di chi si nasconda dietro quell’essere spregiudicato, sarà Jekyll stesso, che al culmine degli orrori collezionati dal suo doppio malvagio, sarà messo di fronte all’amara scelta se continuare a tenere in vita Edward Hyde o “disinnescarlo” anche a costo di ucciderlo.
NOTE DI REGIA
Partendo dalla considerazione che il celebre romanzo di Stevenson “Lo strano caso del Dr.
Jekyll e di Mr. Hyde” è un’apologia sulla condizione umana, avendo come tema centrale il
doppio che poi è il doppio che alberga in ognuno di noi, abbiamo sviluppato una
drammaturgia in chiave più chiaramente psicanalitica, più vicina a quelle teorie che si
svilupparono quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del racconto stevensoniano e che
ebbero il massimo dell’espressione negli approdi scientifici prima di Freud, poi di Jung.
Il nostro testo, infatti, spogliato da qualsiasi soluzione allegorica usata da Stevenson – che
dà il carattere fantastico a tutta la storia, come la metamorfosi di Jekyll in Hyde attraverso
un esperimento chimico, la cosiddetta “pozione” -, è piuttosto un viaggio nell’inconscio,
nella fattispecie di un famoso luminare della medicina, Henry Jekyll, che ambendo
all’individuazione di quelle che sono le cause della malattia mentale, si fa cavia e diventa
poi vittima delle sue stesse teorie, tirando fuori dalla caverna del conscio ciò che è a lui
stesso nascosto, la sua ombra, il suo Hyde.
Da ciò si evince chiaramente come il racconto da cui siamo partiti sia in effetti solo
d’ispirazione a una storia più vicina ai temi della nostra contemporaneità, offrendo allo
spettatore la possibilità non solo di rispecchiarsi in quelli che sono i pericoli ma anche i
piaceri che scaturiscono dalla propria ombra, ma anche di essere spunto di riflessione sulla
necessità di dialogare col proprio inconscio, portarlo fuori e condividerlo con la collettività
per evitare che la nostra ombra scavi in solitudine nel nostro io un tunnel di sofferenze e
violenza.
Sergio Rubini
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