RECENSIONI – Arriva al Teatro Mercadante di Napoli dal 30 aprile al 5 maggio lo spettacolo “Le memorie di Ivan Karamazov”, spettacolo tratto dal capolavoro I fratelli Karamazov di Fёdor Dostoevskij del 1879 e riadattato drammaturgicamente da Umberto Orsini (protagonista assoluto della pièce sottoforma di monologo) e Luca Micheletti (regista).
Il lavoro portato in scena appare come una sorta di summa dei tre grandi classici dello scrittore russo – Memorie dal sottosuolo, Delitto e Castigo e I fratelli Karamazov – in cui Orsini insieme a Micheletti affrontano le tematiche tipiche dei personaggi-antieroi dostoevskijani: la colpa, il pentimento, la profonda e talvolta aberrante coscienza dell’essere umano, creatura fragile e malata di consapevolezza di tale sua condizione esistenziale.
Non è la prima volta che Orsini si interfaccia con l’antieroe dostoevskijano Ivan Karamazov, bensì è la terza dopo il successo dello sceneggiato televisivo di Bolchi e quello de La leggenda del Grande Inquisitore. E in Le memorie di Ivan Karamazov, alla veneranda età di novant’anni, Orsini porta a una sua forma piena e compiuta un lungo processo durato anni di confronto e identificazione con il personaggio: «È lì che ci siamo incontrati, negli anni settanta, e da allora è stato difficile, per chi in quegli anni ha seguito quella trasmissione, separare la sua immagine dalla mia. E, a poco a poco, anch’io mi sono illuso di essere il depositario di quell’immagine, di essere diventato il suo doppio, il suo SOSIA, per dirla col suo autore, il signor Dostoevskij. E, negli anni successivi a quel primo incontro in cui gli avevo prestato le mie sembianze, ho sempre cercato di seguirlo anche fuori dal contesto del romanzo, immaginando per lui una longevità e un finale che il suo autore gli aveva negato. Mi sono dunque preso la libertà di rappresentarlo come un personaggio che resiste nel tempo, e mi sono chiesto, e gli ho fatto chiedere, perché mai l’autore, il suo creatore, lo abbia abbandonato non-finito. E questo non-finito me lo sono trovato tra le mani oggi, come in-finito e dunque meravigliosamente rappresentabile perché immortale e dunque classico» – spiega l’attore.
«Sono Ivan Karamazov e reclamo un finale. Esigo la mia sentenza!»
È una delle citazioni della messinscena “Le memorie di Ivan Karamazov”, al netto di un personaggio a cui Dostoevskij ha dato un’incompiutezza aleatoria. Ma tutto sommato, proprio per ciò, si tratta di un personaggio da scoprire potenzialmente in eterno, che presenta numerose e plurime sfaccettature. Ed è da questo nodo centrale che si dipana il lavoro di Orsini e Micheletti: la ricerca di un’identità integrale di Ivan Karamazov, colto nella sua enorme complessità, viaggiando tra memorie, sensazioni, pensieri e teorie. Il tutto attraverso un gioco metateatrale in cui l’io del personaggio dialoga, si scontra e si abbraccia con l’io dell’attore Orsini, creando una fusione tanto paradossale quanto di pura magia teatrale.
Intelligenza scenica, capacità di viverla senza retoriche bensì come un artigiano accarezzerebbe la sua opera: davanti a un talento mostruosamente vasto come quello di Umberto Orsini non si può che restare a bocca aperta. Tanto più se si parla di un tipo di spettacolo come “Le memorie di Ivan Karamazov” scritto in forma di monologo e basato su una forte impronta logorroica, in cui la presenza attorica gioca un ruolo fondamentale e in gran parte decisivo. Ma non meno importante, nel creare un equilibrio scenico coinvolgente e di qualità, risultano il lavoro di guida da parte della regia di Micheletti, a cui spetta l’arduo compito di fare uscire fuori l’anima del lavoro e non una vuota retorica portata sul palcoscenico, e le scene di Giacomo Andrico che contribuiscono a dare l’idea di un tribunale in cui il personaggio e l’attore sottopongono le loro coscienze a processo, nonché di un sottosuolo in cui si scandagliano le loro memorie più profonde.