RECENSIONE – Dal 16 al 26 febbraio, la rappresentazione del testo di Marina Salvetti alla Scuola di Port’Alba.
Buio pesto in tutta la sala, le note di Christe eleison in sottofondo e dopo qualche istante da dietro tre tele traspaiono in modo nitido tre figure. Subito dopo tre giovani novizi di un seminario si scostano dalle tele e si materializzano sulla scena. Così inizia lo spettacolo Io sono Fedra, scritto da Marina Salvetti.
Dai dialoghi dei tre si cominciano a delineare già le figure dei personaggi principali: Ippolito è un ragazzo troppo sospettoso, intransigente che vede il male dove non c’è e non conosce il conforto della pietà. Mentre la signora Chiara è una donna molto amata che riserva premure a chiunque ne abbia bisogno. Passano pochi istanti e sulla scena irrompe proprio Chiara e Don Cataldo. Chiara tormentata da un conflitto interiore confessa a Don Cataldo, amico di una vita, i suoi tormenti: Lei lavora nella casa del Signore ma non crede e come se non bastasse si è innamorata di un novizio, Ippolito. L’amore per lui la mette in crisi e risveglia dalle sue profonde viscere Fedra, una donna lasciva e una tossicodipendente. E qui lo spettatore è messo davanti alla domanda chiave della tragedia: si può sfuggire da noi stessi, da ciò che siamo e da ciò che siamo stati? Insomma, tutto inizia e gira intorno al conflitto interiore di Chiara che sente in lei stessa riaffiorare Fedra e secondo lei a nulla sono valsi i suoi tentativi in questi anni di cambiare vita, laureandosi e lavorando duramente per non morire sotto il peso del suo passato. “Io sono Fedra – urla a Don Cataldo – Io so di cosa sono capace”.
La confessione però senza che i due se ne accorgono viene udita proprio da Ippolito che userà queste nuove rivelazioni contro di loro. Alla luce di questi eventi si svolge la narrazione che porta alla fine al tragico epilogo. Come tutto è iniziato così finisce con il palcoscenico e il teatro completamente al buio. Il teatro TRAM sembra costruito a posta per questa rappresentazione contemporanea del mito greco grazie alle sue pareti nere che infittiscono il buio della narrazione.
“Lo spettacolo è nato dalla volontà di Mirco Di Martino, direttore artistico del Tram , assieme a Gianmarco Cesareo di fare una rappresentazione corale a marchio TRAM – spiega Marina Salvetti- poichè ci sono tutti i docenti e gli allievi della scuola di teatro. L’idea di fare la Fedra nasce da Gianmarco Cesareo che aveva in animo di fare una cosa corale e mi ha chiesto di riscrivere la Fedra, poichè mi ero già occupata di spettacoli a tema riscrittura del mito, il mio stile era piaciuto e ho accettato. Ho preso a piene mani da Euripide, da un introduzione alla Fedra di Racine la quale fa un’idagine psicologica molto approfondita del personaggio di Fedra e dal romanzo Arianna. Qui, ho cercato io di riproporre gli elementi psicologici dei personaggi del mito greco e trasporli nella modernità. Perché in un seminario? Perché doveva essere forte la carica sacrale del vincolo che c’era tra Fedra e Teseo, rappresentato da Monsignor Belforte, e tra Ippolito e Teseo-Belforte. Sono entrambi figli spirituali, nella tragedia Teseo e Fedra sono sposati e Ippolito è il figlio di primo letto di Teseo. Quindi ho cercato di dare al pubblico la possibilità di riconoscersi in determinati vincoli che tuttora ci sono”.