“Con tutto il cuore”: Vincenzo Salemme e il gioco dell’identità

RECENSIONE – Chi è che realmente decide di che pasta siamo fatti e cosa abbiamo nel cuore? Noi stessi, gli altri o la vita con le scelte che ci pone? Questa la più grande riflessione dell’ultimo spettacolo di Vincenzo Salemme intitolato “Con tutto il cuore” e andato in scena al Teatro Diana, con ennesimo grande consenso di pubblico che, tra battiti di mani e di cuore, l’hanno acclamato con affetto.

Un vero e proprio dramma pirandelliano condito di tipica comicità napoletana, che affronta principalmente il tema dell’identità. Protagonista di questa vicenda il professore di lettere Ottavio Camaldoli, che dopo un intervento al cuore viene contattato dalla famiglia del donatore, Antonio Carannante, che si scopre essere un feroce delinquente, per l’insolita richiesta di dargli vendetta. Colpisce che lui sia stato individuato tra tanti proprio per la sua ordinaria esistenza, perfetto per non destar alcun sospetto. Il Professor Camaldoli oltretutto ha un carattere molto mite, con una ex-moglie che ancora si impone molto nella sua vita ed una figlia che non lo considera quasi per niente se non per cercare nel suo cassetto dei risparmi.

Giova molto a Salemme, scegliere per lui la professione di insegnante, per amplificare un tema cardine di questa commedia, cioè l’alto valore della cultura troppo spesso trascurata e messa da parte. Gli insegnanti sono poco considerati e lui stesso enfatizza molto il fatto che al ritorno nel suo appartamento dopo la convalescenza, ritrovi «Socrate in terra, le scarpe nelle librerie e i libri sul pavimento». Condanna fortemente, ma con la sua grande abilità di mattatore, la tendenza nella vita a ricercare raccomandazioni. Simpaticissimi sono i sipari con l’infermiere (interpretato da  Antonio Guerriero) che non ha studiato ed afferma «Io non sono infermiere, faccio l’infermiere!» e su questo motivo, intense sono le considerazioni sulla famiglia separata che porteranno il protagonista ad affermare «Io non sono padre, faccio il padre».

Il perseguimento di una vita virtuosa ed onesta è sicuramente una strada più difficile da percorrere. Esemplare il punto della commedia in cui, sfruttando il pretesto del fidanzato della figlia norvegese, si espone la sostanziale differenza tra la vita del salmone e quella della spigola, accolta da una fragorosa risata in platea. Può quindi una persona mite far uscire il lupo celato in sé sedotto dal fascino del male? Nel secondo tempo, con un fortuito imprevisto, tutta la situazione si ribalta con un efficace cambio di registro, che vede l’integerrimo professore sempre attento all’uso delle parole a sbagliarle invece tutte.

Molto bravi gli attori con lui sulla scena, gruppo affiatato di un cast collaudato: il già citato Antonio Guerriero, Domenico Aria, Antonella Cioli, Sergio D’auria, Teresa Del Vecchio, Mirea Flavia Stellato e Giovanni Ribo’. Degno di citazione il personaggio interpretato dall’attore Vincenzo Borrino, della finta badante indiana Gelsomina dalla verace inflessione dialettale puteolana. Molto eloquenti le dinamiche scene di Gilda Cerullo e Renato Lori, che si aprono, si spostano e parlano. A ribadire il gioco sull’identità, la sigla in chiusura sipario del programma televisivo “I soliti ignoti”. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Diana fino all’8 marzo.