Nunzia Schiano. Dal teatro al cinema senza andar via dalla sua città

La zona vesuviana è un po’ il laboratorio vivente delle attorialità partenopea. Dopo Troisi, Arena, De Caro e tanti altri, Portici, serena cittadina ai piedi del vulcano, ha dato vita ad altri rappresentanti validissimi esponenti del teatro e del cinema napoletano, come l’attrice Nunzia Schiano, che con il marito Niko Mucci, attore, regista e autore, danno vita a quel patrimonio partenopeo di artisti speciali, e che sono il vanto delle nostre risorse attoriali, sia in teatro che nel cinema. La Schiano ha, ormai da anni, creato un suo personaggio da commedia brillante sia sul palcoscenico che sui set cinematografici. Diremmo addirittura una felice maschera con cui trasferisce la sua arte tradizionale, sia sui pachi di tutta Italia, che nelle sale cinematografiche. Insomma dà vita a dei personaggi che divertono e che danno prova di grande arte recitativa che nasconde quei tempi teatrali che sono propri della tradizione partenopea. Trasferirli al cinema è stato un suo merito, ed è per questo che molti registi e produttori si avvalgono delle prestazioni di questa piccola grande attrice, che conquista le simpatie e i consensi di tutte le generazioni. In particolare Alessandro Siani, che lei considera un figlio adottato, è da sempre stato entusiasta delle prestazioni della Schiano, anche perchè gran parte del successo dei film del regista napoletano, sono dovuti ai suoi bozzetti. Quella provincia vesuviana aveva, rispetto ad altre, un fermento culturale non indifferente. “La provincia di allora-asserisce l’attrice-era molto più tranquilla e il fatto di essere in pochi, stare tutti in piccoli spazi teatrali, incideva molto anche sul tempo libero personale. Si aveva un indirizzo forse più preciso, diciamo che forse era più facile fare teatro per alcuni versi, rispetto ad oggi. In linea di massima posso dire che lo si faceva con molta più tranquillità”.

Ma in fondo, allora, cosa aveva di speciale questa provincia, rispetto alle altre, per sfornare simili professionisti?
“Ma forse fenomeni mitici, come lo sono stati Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo De Caro, sono nati anche da input che la società di allora ci donava. Anche dalla scuola partivano questi input. Io per esempio ho iniziato fin dalla scuola. Anche i professori ci davano più attenzione per le nostre velleità di futuri attori. Sicuramente, poi, ne eravamo molti di meno e quindi ci si poteva concentrare di più sulla persona. C’era voglia di insegnare, c’erano piccoli teatri come quello dove io ho iniziato, il teatro De’ I Rinnovati, o il Centro teatro spazio, dove ha iniziato Massimo con tutto il gruppo de “La smorfia” dove ha fatto parte anche mio marito Niko Mucci, quando non erano ancora quelli della “Smorfia”. Ma anche a Torre del Greco dove c’erano giovani che avevano un percorso diverso, come quello della tradizione. E ricordo Gigi De Luca che ancora porta avanti il suo discorso. A Castellammare c’erano vari gruppi di teatro, a cominciare dal grande Italo Celoro e tanti altri. C’era molto movimento in questi piccoli spazi, dove avevi la possibilità di metterti in gioco”.

©Annalisa Annalì Carbone

Lei ha cominciato con la canzone e il teatro popolare?
“Si infatti io ho iniziato prima con la musica popolare, perchè avevamo un gruppo di musica del genere. Poi essendo entrata a far parte del teatro De’ I Rinnovati, che aveva la guida del professore Ferrara, ho cominciato a fare teatro, quello dei grandi autori, come Pirandello, o come quelli più internazionali, come De Courtelain e tanti altri. In quella occasione ho conosciuto lo scenografo Tonino Di Ronza che inziava anche lui a muovere i primi passi nella sua materia. Io e lui siamo amici da tanti anni. Ricordo che ai Rinnovati, è venuto a recitare le sue grandi opere, Annibale Ruccello, e Francesco Silvestri. Ricordo che in quell’epoca, vidi al nostro teatro a Portici, in anteprima assoluta la mitica “Le cinque rose di Jennifer”. Fecero una serata speciale per farla vedere ad alcuni critici teatrali. C’era davvero un gran movimento e fermento culturale”.

Il teatro di oggi le piace. Si fa teatro di qualità?
“Sicuramente si fa teatro di qualità.Anche se l’offerta è tanta e purtroppo la quantità non corrisponde alla qualità. E’ anche vero che il teatro è una questione di gusti personali, certi lavori ti possono piacere e altri no. Sere fa ho visto “La luna” di Davide Iodice, uno spettacolo bellissimo, però a me può piacere anche uno spettacolo più classico, purchè sia fatto bene, recitato bene, che ci sia una bella idea di regia. Insomma non ne faccio una questione di generi. Ci sono tante cose fatte bene. Abbiamo registi che si sono imposti meritatamente. E penso, ad esempio, a Mimmo Borrelli,che ha avuto una evoluzione, una crescita notevole come regista. Ci sono anche le piccole compagnie che fanno delle belle cose. Giovani come Antimo Casertano, o una Daniela Ioia, che stanno facendo un percorso molto felice. Purtroppo teatro riesco a vederne poco, perchè con le tournè che sostengo, mi è difficile conciliare le cose”.

Filumena Marturano, regia Liliana Cavani. Nella foto Mimmo Mignemi

La possiamo annoverare tra le attrici del grande teatro di tradizione, pur facendo delle puntate verso il teatro d’autore e di quello di denuncia?
“Beh,è un po’ come quando ti definiscono attore caratterista. Questa definizione oggi non ha molto senso. Perchè il caratterista oggi per come è strutturato il teatro e di come è inteso il lavoro dell’attore, non può esistere. Perchè pure quando fai un personaggio minore, compi sempre un lavoro indagativo sul personaggio che ti assegnano. Nel mio caso, in “Filumena Marturano”, Io ho fatto il personaggio di Rosalia, ho seguito questo sistema. Infatti per me Rosalia, in quella commedia di Eduardo, non lo puoi definire un carattere. E’ un personaggio di tutto rispetto, dove sei costretta a fare uno studio approfondito. Sarà anche grazie alla regia di Liliana Cavani, che vuole che tutti i personaggi presenti in un testo, non siano mai dei caratteri secondari. E’ una definizione che mi sta stretta. Poi è vero quello che dice ho spaziato tra la tradizione e il teatro di denuncia, come per esempio quello di Fortunato Calvino, in “Cravattari”. Se il personaggio mi intriga e mi piace, lo faccio anche per puro divertimento. Senza tante implicazioni più profonde. Infatti ho recitato in “Ranavuottoli”, grazie a Biagio Musella che mi ha proposto il testo scritto insieme a Roberto Russo, per la regia di Lello Serao”.

Chi sono stati i suoi maestri, a chi deve molto nella sua carriera?
“Sono tante persone, in primis sicuramente Lello Ferrara che mi ha insegnato l’ABC del teatro. Come stare su un palcoscenico e soprattutto le regole base, perchè io non avevo una preparazione di base di nessuna scuola. Ma poi ho appreso il rigore intrinseco del teatro stesso. Devo citare anche Renato Carpentieri, o Giacomo Rizzo a cui devo tutto riguardo ai tempi comici, che ho rubato da dietro le quinte, come spesso si fa. I tempi comici, per me, sono una cosa naturale. Se ce l’hai, sei fortunato, al massimo con la scuola, puoi affinarli, ma ci devi nascere. Giacomo in questo è stato un maestro. Ma ricordo ancora Davide Iodice, come personaggio importante per me e la mia carriera, come pure Geppy Glejeses e la stessa Liliana Cavani. Insomma ognuno mi ha dato il suo contributo”.

Veniamo al cinema. Anche in quel settore si è fatta largo in modo preponderante. Ma meritava farne di più?
“In questo senso ho fatto una scelta di vita che è quella di rimanere a Napoli, anzi a Portici. Quindi lontano dal sistema romano a cui è legata la grande tradizione cinematografica, anche se in questi ultimi anni, a Napoli si produce molto cinema e fiction. Però questo fatto mi ha limitato un po’ nel fare cinema. D’altra parte sono soddisfatta lo stesso per quello che ho fatto. Ma soprattutto nonostante questo limite, ho incontrato registi importanti, da Alberto Sironi a Alessandro D’Alatri, oppure Carlo Vanzina, Leonardo Pieraccioni, e lo stesso Alessandro Siani. Non ho grossi rimpianti o rammarichi. Non mi faccio problemi, perchè so che ho fatto un percorso più contorto. Qualche volta ho rinunciato al teatro, per fare qualche lavoro in cinema, facendolo in piena consapevolezza, ma con grande onestà intellettuale. Ho avuto lo stesso la soddisfazione di fare un red carpet a Cannes con “Reality”, e con il film “Dogman”, siamo stati ad un passo dalla nomination per gli Oscar”.

C’è un testo che le piacerebbe mettere in scena?
“In verità ne ho in testa in molti, specie uno inglese, un testo di Arnold Wesker. In questo momento ho voglia di fare una scrittura nuova, raccontare parole nuove e contemporanee, ma scritte bene, con un linguaggio scritto bene. Per ora sono alla ricerca anche di giovani autori”.

“Statue movibili”, regia di Lello Serao

Suo figlio pare voglia seguire la vostra carriera?
“Per la verità aveva cominciato con la musica, ma poi è rimasto affascinato dal cinema e le sue possibilità. Si è laureato a Salerno in cinematografia, ha un po’ messo in secondo piano la musica, perchè la sua prima passione è ormai il cinema e la sceneggiatura. Infatti insieme abbiamo fatto un cortometraggio dal titolo “Courdroy” che ha avuto grossi riconoscimenti. Questa è la sua direzione. A me fa piacere, perchè forse frequentando questo mondo, lo ha stimolato a propendere per la scrittura cinematografica”.

 

I suoi prossimi impegni?
“Stiamo completando le riprese del “Commissario Ricciardi” per la regia di D’Alatri, che penso andrà in onda su Raiuno in autunno 2020,e poi in teatro devo riprendere le repliche di “Così parlò Bellavista” con Geppy Glejieses. Ma naturalmente ho sempre da continuare con il mio progetto di “Femmine” che faccio con Myriam Lattanzio, per la regia di Niko Mucci, e i testi della stessa Lattanzio, scritti insieme ad Anna Mazza. Ma ci sono anche molti progetti cinematografici e televisivi, di cui non posso ancora parlarne, perchè è tutto in fase di definizione”.

 

di Gianni Mattioli