Intervista a Maurizio Casagrande sulla sua nuova allegorica commedia “Mostri a parte”

NAPOLI – L’attore Maurizio Casagrande propone al pubblico “Mostri a parte”, una divertente commedia carica di brillante ironia nei confronti del mondo della televisione e dell’attuale show business.  In particolar modo nei confronti di quei personaggi che si ritrovano ad essere molto famosi senza effettiva preparazione o particolare talento. (“Mostri a parte” al Teatro Diana)

Il protagonista Franco Gecchi, dimenticata rockstar, è sposato con la più giovane Ursula, conduttrice televisiva negli anni d’oro della sua carriera e che oggi è la vera “star” di casa. Assorto in un travolgente incubo incontra tutti questi personaggi nelle vesti dei mostri delle più celebri favole horror.

L’abbiamo incontrato al Teatro Diana, dove è di scena fino a domenica 10 febbraio, ed abbiamo intrattenuto con lui una piacevolissima conversazione.

Leggendo la sinossi dello spettacolo ci è risultato immediato cogliere un collegamento tra l’aspetto mostruoso ed il film Frankenstein Junior. La nostra curiosità è quella di sapere se è stato un omaggio voluto.

Sicuramente, e posso dire che va anche oltre l’omaggio. A parte il fatto che io ritengo che Frankestein Jr sia il film comico  parodia più bello della storia del cinema. Io credo di averlo visto venti volte. Da ragazzino con gli amici l’ho visto a ripetizione. Secondo me ancora oggi regge i paragoni. Come succede nel film, il protagonista della mia commedia è erede di un personaggio di un celebre romanzo horror. In secondo luogo, avendo scelto come principale storia di riferimento quella gotica del Dr Jekyll e Mr Hyde ambientata nel diciannovesimo secolo, ho voluto inquadrare tutto il sogno che vive il protagonista, il signor Franco Gecchi, appunto per il nome erede di Jekyll, in una locanda frequentata da mostri proprio di quel periodo. C’è la vampira Carmilla, l’uomo lupo il Licantropo, poi c’è Chuki la bambola assassina che è più recente ma se vogliamo c’è sempre stata la bambola voodoo. Dovevo trovare il riferimento tra i mostri dell’horror e i mostri del mondo dello spettacolo. La donna vampiro è la donna vuota da riempire con il sangue degli altri, l’uomo lupo è l’attore bello come il sole ma che ha quella parte animale che è il cane che esce fuori perché in fondo è un attore scadentissimo e poi c’è l’influencer che inquadro in quelle bamboline, tutte dipinte, bellissime o bruttissime, grottesche che a me sembrano bambolotti.

Perché l’uso dello strumento del sogno?

Io sono convinto che nei nostri sogni noi ci mettiamo quel che conosciamo e abbiamo visto. Quale migliore luogo per analizzare se stessi di un sogno? Ho fatto un interessantissima esperienza tempo fa. Mi hanno invitato a proiettare un mio film, il mio primo film “Una donna per la vita”, ed era presente uno psicologo che analizzava le persone facendogli raccontare i film che avevano visto insieme, in particolare il modo in cui lo spettatore recepisce il film. Ho scoperto che gli spettatori vedono nelle scene cose che tu non hai messo, ognuno ci immette il proprio vissuto. C’è anche gente che non vede alcune scene perché la memoria è selettiva. E’ probabile che quindi se stai facendo un incubo possano apparire mostri visti in un film o descritti in un libro.

Il raffronto dei personaggi popolari ai mostri contiene anche un monito rivolto al pubblico?

Nel mio monologo finale rimprovero il pubblico per la passività. Come avete potuto? Perché quando scegliete una macchina o un telefono, volete il migliore e se non funziona protestate e chiedete rimborsi, e quando invece vedete un attore che non sa recitare, un cantante che non sa cantare o un comico che non fa ridere comunque fate l’applauso? Che è successo? Perché non sapete più scegliere? Qualche annetto fa mi capitò un esperienza particolare. Una ragazza mi chiese attenzioni, che io non avevo nessuna intenzione di dargli, in cambio di far diventare famoso un suo parente. Agghiacciante. Ma la cosa forse ancor più impressionante è che quando io le chiesi cosa questa persona sapesse fare, lei mi rispose con un secco “Niente”. Non ha più nessuna importanza cosa ci sia dietro la fama. Rispetto a questi mostri, il mostro sacro ha una pulsione che lo spinge a voler dimostrare al mondo una cosa che ha dentro, qualche volta diventa famoso, altre no, ma non cambia quel talento e quella capacità. Invece queste persone hanno solo lo straordinario talento di capire come fare a diventare ultrapopolari. C’è il rischio che quel determinato personaggio ce lo ritroviamo in un film, o in un talent o peggio ancora a teatro.

Senza fare di tutta l’erba un fascio, come mai in questo particolare periodo riescono ad emergere questi personaggi?

La mancanza di cultura. Io sono un ignorante rispetto a molte cose. Non sono laureato e lo dico con rammarico perché nella mia vita ho dedicato tempo alla musica, non avevo tempo per studiare ma la mia vita è stata una continua ricerca di conoscenza. Se davvero sei interessato ad un  argomento lo approfondisci. Io quando ero ragazzo appassionato di musica, volevo conoscere i miei idoli dell’epoca, i Pink Floyd, i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Genesis, c’erano alcuni di cui non riuscivi a sapere nulla. Dovevi comprare il disco, 5000-7000 lire, che erano cifre per me. Te lo dovevi comprare e sperare che ti piaceva perché se non era così che facevi? Te lo tenevi. Dato che l’avevi pagato te lo sentivi dieci mila volte per essere sicuro che davvero fosse cosi. Erano difficili quindi magari al primo ascolto non lo capivi subito però poi man mano, come per i sapori più complessi, riuscivi ad apprezzare. Ora si può sentire tutta la musica del mondo e si seguono quattro imbecilli perché un talent ha detto che sono bravi e magari neanche lo sono. Un grande vantaggio paradossalmente è diventato un problema. Non si deve scegliere una cosa che è facile perché altrimenti diventa tutto uguale.

La scrittura di questo spettacolo quanto è durata?

Paradossalmente è durata anni, ne discutevo con il co-autore Francesco Velonà 4-5 anni fa. Eravamo in vacanza insieme e mi era venuta questa idea dell’allegoria dei mostri. Non ho trovato negli anni nessuno davvero interessato. La maggior parte vorrebbe che io proponessi commedie leggere che facciano divertire la gente. I produttori si spaventano quando ci si vuole aggiungere qualcosa in più. Quindi l’idea ha sedimentato nel cassetto, dopo anni è stata ripresa e  rivoluzionata. A me piace molto Stephen King per il suo modo di scrivere. Certe volte riconosco anche che sta raccontando cose assurde però le leggo lo stesso per il modo in cui le racconta. Lui racconta una cosa bellissima in un libro che si intitola On writing. Fa un parallelo tra lo scrittore e il paleontologo che trova la punta e scava a fondo. Noi probabilmente abbiamo visto la punta e abbiamo iniziato a scavare.

Tra le tante tematiche affrontate scorgiamo il peso della fama all’interno della coppia tra marito e moglie.

Assolutamente ho messo in risalto i due momenti diversi. Inizialmente lei, più giovane di lui, innamorata della star, abbagliata da questa luce accecante e poi le cose cambiano, lui invecchia, perde quello smalto e quella capacità e viene dimenticato perché non è bravo a tenersi sulla cresta dell’onda, che è un lavoro anche quello. Lei invece è bravissima in questo e sull’onda ci sa stare benissimo pur non sapendo far nulla di fatto. Chi è proprio il mostro? Questo è uno spettacolo che non impone giudizi ma propone continui spunti di riflessione.

A teatro non si può non aver talento. Rispetto all’attuale panorama secondo te possiamo riporre nel teatro una speranza di ritorno dell’arte?

Nel teatro oggi c’è un problema molto grave. Da una parte ci sono quelli che fanno il teatro con sovvenzioni pubbliche che non hanno problemi e difficoltà per il pubblico. Anche se non incassano nulla, tutti sono contenti. Dall’altra parte quelli come me che fanno il teatro commerciale cioè un teatro che deve fare i conti. Alla fine dell’anno se hai guadagnato è andata bene se hai perso non si fa più. Quando preparo uno spettacolo non posso pensare solo all’arte, devo pensare anche al pubblico.  Certo, non mi piace fare quello che si aspettano che io faccia, ma mi piace sorprenderli e portarli da un’altra parte, e devono essere tanti. Io la sera prima di cominciare metto l’orecchio dietro il sipario e sento il vocio, e già so quanta gente c’è e quando non sento quel rumore, io sto male.

Qual è stato il momento in cui hai sentito di aver sposato il teatro?

Quando sono a teatro, sul palco, dietro le quinte, al buio io sono sempre sereno. Qualunque cosa sia accaduta nella mia vita, anche nei momenti più drammatici come quello in cui ho perso mia madre, il teatro c’è sempre stato. Mia madre era un persona molto intelligente e mi fece notare questa cosa, ci parlavo molto. Un volta nel concludere un discorso io dissi “ma com’è possibile che l’unico luogo in cui io mi sento veramente al sicuro è il teatro? Anche nel momento in cui sto per debuttare con uno spettacolo mai fatto, io là dietro mi sento bene”. Lei mi rispose che quando ero piccolo a due anni e mezzo e non dormivo, mi portava a vedere papà a teatro nel sottopalco del Politeama ed io mi addormentavo. Quindi me lo sono trovato dentro senza sapere. C’era una scuola di recitazione che curava mio padre che si chiamava La bottega teatrale del mezzogiorno e mi chiese di insegnare solfeggio poiché ero batterista. Erano tutti più o meno coetanei, c’erano ragazze belline ed io cominciai a frequentare l’ambiente anche per quello. Cominciai a seguire i corsi ed aiutavo lui da auditore. Poi a fine anno mancò uno dei ragazzi ed io lo sostituii. Riscontrai una propensione innata. Tutti mi fecero i complimenti.

Cosa diresti ad un ragazzo che si sta approcciando al teatro?

Quando mi chiedono “Cosa devo fare per fare teatro?” io rispondo “Niente”. Per fare teatro non bisogna fare niente, dico sempre che non c’è niente di meglio che viverlo il teatro. Il problema secondo me attuale è che stanno diminuendo i riferimenti. Quando non fai crescere i mostri sacri e si eclissano quelli attuali poi spariscono i punti cardinali.

La redattrice Sara Borriello e l’attore Maurizio Casagrande – Napoli a Teatro

Ora racconto quest’episodio perché è fondamentale per un giovane. Quando ero ragazzo, di riferimenti ce n’erano tanti. Ebbi la fortuna di conoscere Mario Carotenuto. Io avevo 24 anni, incontrai una ragazzina deliziosa di una compagnia, era una ballerina bellissima e aveva dimostrato di avere un minimo interesse ed io proprio quella sera conobbi il grande Mario Carotenuto. Ebbene, io mi persi quella ragazzina che non ho più visto per rimanere tutta la sera a bere Vecchia Romagna e chiacchierare con lui. Quella serata la ricorderò per sempre e l’attore Maurizio Casagrande di adesso probabilmente serba in sé tantissimo di quelle chiacchierate. Ci sono ragazzi che credono che per fare teatro si debba seguire il corso che ti dice come muovere il dito quando invece il teatro è creta e tu il dito devi averlo nella mente.