“Cous Cous Klan”: il dramma distopico di Carrozzeria Orfeo in scena al Bellini

Sensazioni contrastanti. Difficile poter dire qualcosa di meno apodittico a proposito di “Cous Cous Klan” di Carrozzeria Orfeo, in scena al Teatro Bellini fino al 16 dicembre. Spettacolo complesso, frutto dell’intricato gioco drammaturgico concepito da Gabriele Di Luca che ne firma la regia insieme a Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi. La critica partenopea ha descritto la pièce in un modo altrettanto apodittico, definendola «politicamente scorretta», espressione rintracciabile anche sul foglio di sala riguardante lo spettacolo. Visto l’accordo pressoché unanime su tale valutazione, la domanda non può che sorgere spontanea: “Cous Cous Klan” è davvero uno spettacolo «politicamente scorretto»?

Il bene più prezioso al mondo, l’acqua, è stato privatizzato e possono beneficiarne solo le persone che vivono all’interno di recinzioni militarizzate. Al di fuori di queste, in una sorta di discarica fatiscente, vivono: Caio (Massimiliano Setti), un tempo prete, adesso cinico ed infelice misantropo; Olga (Beatrice Schiros), donna di mezz’età che cerca di espiare il suo senso di colpa per aver abortito cercando in tutti i modi di rimanere nuovamente incinta; Achille (Aleph Viola), strambo giovane omosessuale che disprezza gli islamici e le persone di colore; Mezzaluna (Pier Luigi Pasino), immigrato musulmano giunto in Italia con l’intenzione di compiere degli atti terroristici, costretto a smaltire dei rifiuti speciali per conto della criminalità organizzata per vivere e Aldo (Alessandro Federico), un pubblicitario al lastrico cacciato da casa per via di una relazione con una ragazzina. A questi si aggiunge Nina (Angela Ciaburri), ribelle e impulsiva, che incontra gli abitanti della discarica dopo essere stata vittima di uno stupro ad opera del cardinale Gutierrez e da Jurij Danchenko, coinvolti nel furto e nella vendita illegale della più sacra delle reliquie: il prepuzio di Gesù.

In “Cous Cous Klan”, dunque, compare la contemporaneità bell’e fatta, con tutto il suo carico di barbarie, psicosi, terrorismo, pregiudizio, privatizzazione dei beni di consumo, criminalità, istanze delle minoranze, violenza, illegalità, difficoltà d’integrazione, stupri, dilagante nichilismo e straripante capitalismo. Pot-pourri contemporaneo che al sale della crudeltà, che avrebbe reso davvero la pièce «politicamente scorretta», sembra preferire lo zucchero del pietismo – dunque anche dell’indulgenza – al fine di intenerire il dramma della nostra epoca a suon di empatiche vicinanze dello spettatore ai protagonisti della messa in scena. Lo stesso finale agrodolce, che al tempo stesso è e non è un lieto fine, sembra denunciare una certa mancanza d’audacia nella rappresentazione di qualcosa di davvero scorretto.

Alla luce di ciò, appare difficile riscontrare in “Cous Cous Klan” qualche elemento che si distacchi risolutamente dalla non poca retorica delle istanze politiche attuali. Anche quanto la pièce ha di provocatorio, infatti, sembra finalizzato ad assecondare la verve buonista che il ‘politicamente corretto’ della nostra epoca pretende di dover adottare ad ogni avvenimento, basti pensare all’espediente del terrorismo e delle minoranze, stratagemmi fin troppo abusati per poter essere considerati genuinamente irrispettosi. Forse anche per questo lo spettacolo sembra smarrirsi, tra l’esigenza di intervallare momenti in cui dover ridere a tutti costi a momenti in cui far riflettere a tutti i costi, in intermezzi che paiono tappezzati da scambi di battute che non provocano né il riso né la riflessione, spezzando così l’omogeneità del ritmo scenico.

Nonostante ciò, alcune dichiarazioni spuntano memorabili nel corso dello spettacolo – e lo sono senza riserve –, supportati da una dignità letteraria quasi aforistica, come: «Posso farle solo una domanda? Perché quando vediamo la sofferenza le corriamo sempre incontro?». Ancora: «Gli altri saranno anche insopportabili, ma il vero incontro con noi stessi è la cosa più sgradevole che ci possa capitare». La maestria dei sei interpreti è fuori discussione e le scene di Maria Spazzi, costituite da due roulotte malandate e da una macchina arrugginita, meriterebbero di essere contemplate di per sé, indipendentemente dalla loro funzione scenica. In conclusione, “Cous Cous Klan” è una pièce complessa in grado di suscitare sensazioni contrastanti, che ha il merito – al di là di qualsiasi mero giudizio di gusto – di non lasciare indifferenti.